Riferisce il Consigliere Avv. Sandro Callegaro in merito alla richiesta di parere pervenuta dal Responsabile del Dipartimento Amministrativo U.O.C. dell'Azienda U.S.L. di Bologna, Avv. Cristina Caravita, in merito alla applicabilità degli oneri riflessi (contributivi e previdenziali) del dipendente pubblico con qualifica di Avvocato iscritto nell'Elenco Speciale alla parte soccombente di un giudizio, analogamente a quanto avviene per l'applicazione di Imposta sul Valore Aggiunto e Cassa Nazionale Previdenziale ed Assistenziale per gli Avvocati del libero Foro.
Dopo ampia discussione il Consiglio fa propria la proposta del relatore ed adotta il seguente parere.
La questione non pare, a stretto rigore, di competenza del Consiglio, atteso che né IVA né contributi previdenziali possono essere oggetto di opinamento. Rimarrebbe l'ipotesi del comportamento disciplinarmente rilevante dell'avvocato che esponesse al proprio cliente, ovvero alla controparte, compensi od oneri non dovuti.
Anche se solo sotto tale ultimo profilo, vale comunque la pena affrontare l'argomento poiché l'occasione costituisce un valido pretesto per esaminare l'articolata e complessa materia che nel tempo si è notevolmente evoluta, al pari purtroppo di una asimmetrico approfondimento.
Va preliminarmente inquadrato il problema e la figura dell'”avvocato pubblico”, ovvero di un numero relativamente consistente di professionisti che, previo concorso pubblico, viene assunto alle dipendenze di un ente (comune, provincia, regione, parastato, asl, ecc.) e, dall'Ordine di appartenenza, iscritto in un “elenco speciale” annesso all'Albo.
Lo status degli avvocati pubblici è duplice: da un lato essi sono a tutti gli effetti dipendenti di un ente che versa i contributi previdenziali e pensionistici agli istituti previdenziali propri (Inpdap); dall'altro lato, esercitano la professione forense, votano per i rinnovi dei Consigli, in alcuni casi vengono eletti consiglieri dell'Ordine (es. Roma, Ancona e mi pare Palermo), pagano la tassa annuale d'iscrizione e sono sottoposti al potere disciplinare dell'Ordine d'appartenenza, oltre a quello del datore di lavoro. In ambito giurisdizionale essi possono patrocinare giudizi esclusivamente per l'Ente a cui appartengono.
L'argomento offre lo spunto per svolgere alcune considerazioni sul peculiare status giuridico attribuibile agli avvocati in servizio presso le amministrazioni pubbliche, al fine di collocare la spesa fiscale di cui si discute, calcolata sugli onorari percepiti dall'avvocato-dipendente, quale voce stipendiale fissa e continuativa (artt. 40 e 45, D.Lgs. 165/2001, artt. 3, 36, 97, 117, 118 Cost., art. 37 del C.C.N.L. Area dirigenziale 23.23.1999, art. 27 del C.C.N.L. 14.09.2000, R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e R.D. 30.10.1933, n. 1611, art. 69, comma 2, D.P.R. 13.05.1987, n. 268).
La giurisprudenza ha ripetutamente affrontato il problema dell'autonomia ed indipendenza dell'Ufficio Legale delle amministrazioni pubbliche in riferimento alla qualificazione attribuibile allo stato giuridico degli avvocati ad esso addetti, estrapolando le ragioni poste a fondamento delle decisioni assunte dalla formula adottata dall'art. 3 del R.D.L. n. 1578/1933 a tenore della quale, la posizione dell'avvocato in servizio presso uffici legali istituiti in enti statali, territoriali e locali è considerata “derogatoria” rispetto alla più generale incompatibilità sussistente fra l'esercizio della professione legale e qualunque altro impiego o ufficio retribuito.
A fare da completamento a tale precetto è intervenuta la sentenza nomofilattica della Suprema Corte pronunciata a Sezioni Unite (Cass., sez. un., 25.11.2008, n. 28049, Giust. civ., Mass., 2008, 11, p. 1678), in cui è contenuta la summa dei presupposti cui è subordinata l'iscrizione nell'elenco speciale, sopra ricordato:
1) l'esistenza di un ufficio legale quale unità organica autonoma;
2) l'inquadramento dell'avvocato nell'ufficio legale dell'amministrazione di cui è dipendente, con incarico professionale limitato alle cause ed agli affari propri dell'ente.
L'art. 3 cit., dunque, sotto il profilo soggettivo, comporta il riconoscimento di una situazione giuridica particolare in capo agli avvocati pubblici, mentre, sotto il profilo oggettivo, presuppone, in relazione alla collocazione dell'Avvocatura nella struttura pubblica, la necessità di considerare un'autonoma e indipendente organizzazione operativa che consenta, da una parte, l'inserimento nell'organigramma delle amministrazioni e, dall'altro, il libero esercizio delle funzioni che connotano particolarmente la prestazione lavorativa del professionista.
Tale condizione rende, pertanto, evidente come l'esercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici, debba esplicarsi attraverso l'istituzione di appositi uffici legali, costituendo una modalità tipica dell'esercizio della professione da parte degli avvocati pubblici. Ciò obbedisce, infatti, alla palese finalità di salvaguardare i dipendenti che svolgono attività di assistenza, rappresentanza e difesa in giudizio per conto dell'amministrazione di appartenenza in un'apposita struttura organizzativa che valga, da una parte, ad inserirli nel più generale ordinamento dell'ente e, dall'altra, a consentire e assicurare l'autonomo esercizio delle loro particolari funzioni, al pari dei liberi professionisti, in assenza del quale verrebbe meno la natura professionale dell'attività svolta.
In tal modo, il rispetto del richiamato art.3, R.D.L.1578/33, può dirsi verificato, in concreto, non solo quando sussista un'apposita ed autonoma struttura deputata all'assolvimento delle peculiari funzioni degli avvocati dipendenti di enti pubblici, ma anche quando a questi ultimi sia comunque garantita l'indipendenza nell'esercizio dello jus postulandi e l'autonomia di movimento ad esso indubbiamente connessa, essendo sganciati dalla “piramide” gestionale dell'amministrazione. Ciò scaturisce dalla fondamentale ragione per cui il coinvolgimento, diretto o indiretto, degli avvocati degli uffici legali nelle attività di gestione delle unità amministrative, oltre a far venir meno il carattere dell'esclusività, potrebbe determinare, sebbene solo potenzialmente, un conflitto d'interessi e una confusione di ruoli e di responsabilità (Cass. S.U. 18359/2009).
A fronte di ciò, è stata affermata l'illegittimità dell'atto con cui l'amministrazione prevedeva di subordinare gerarchicamente l'Avvocatura ad un dirigente di unità operativa, dato che la peculiarità dell'attività forense, per cui l'avvocato è libero di esercitare la difesa del proprio patrocinato, mal si presta ad essere inquadrata in una struttura di tipo gerarchico che non assicura, oltre alla libertà dell'esercizio dell'attività di difesa, anche l'autonomia del professionista nella trattazione degli affari giuridico-legali (Cons. Giust. Amm. Regione Siciliana, sez. giurisdizionale, 15.10.2009, n. 932; n. 9/2009; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 30.3.2009, n. 255).
La norma di cui all'art. 3 della legge professionale, contempla semplicemente l'istituzione dell'ufficio legale, e non anche della struttura organizzativa. Ciò a motivo del fatto che la finalità da essa stessa perseguita è riconducibile ad una garanzia di tipo funzionale, correlata all'attività esercitata dall'avvocato pubblico e legata intimamente al riconoscimento dello status professionale peculiare dell'iscritto all'elenco speciale annesso all'Albo, che in nulla si dovrebbe differenziare dallo status professionale dell'avvocato del libero foro.
Conseguentemente diviene imprescindibile assicurare, nel contempo, l'inserimento nell'assetto organizzativo dell'ufficio legale e l'autonomia funzionale del professionista, dovendosi coerentemente distinguere, da una parte, l'attività legale e, dall'altra, l'attività amministrativa (così anche Cons. St., sez. V, 15.10.2009, n. 6336, a cui l'avvocato non può essere adibito in assoluto, indipendentemente dal rapporto di dipendenza e dall'autonomia maggiore o minore goduta dal tipo di P.A. (Comune piuttosto che ASL, Provincia piuttosto che INAIL, ecc).
Analogamente, la Corte Costituzionale ha riconosciuto come «secondo l'ormai costante indirizzo giurisprudenziale dei giudici amministrativi, gli avvocati e i procuratori degli enti pubblici, sono da considerarsi nello stesso tempo sia professionisti, sia impiegati, nel senso che, nello svolgimento del loro lavoro professionale hanno garantita una posizione di indipendenza e sono sottoposti al controllo dei Consigli dell'Ordine professionali». (Corte Cost., 8.7.1988, n. 928),
Sotto altro profilo, va, ulteriormente, evidenziato come gli appartenenti al ruolo legale, rispondendo direttamente al legale rappresentante dell'ente, a norma dell'art. 15 della legge n. 70/1975, si distinguano per una specifica responsabilità che, da un lato, presuppone la piena autonomia di funzione, e dall'altro una libertà di movimento correlata all'esercizio dello jus postulandi . Così a mente dell'art. 40, comma 2, ultima parte, del D.Lgs. n. 165/ 2001 (T.U. pubblico impiego) «per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi oppure tecnico scientifici e di ricerca, sono stabilite discipline distinte nell'ambito dei contratti collettivi di comparto». Il successivo art. 69, comma 11, stabilisce poi che «in attesa di un'organica normativa della materia, restano ferme le norme che disciplinano, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, l'esercizio delle professioni per le quali sono richieste l' abilitazione o l'iscrizione ad ordini o agli albi professionali» (cioè si dovrebbe intendere la legge professionale). Il quadro legislativo in materia è, inoltre, integrato dall'art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 30/2006, ai sensi della quale «l'esercizio dell'attività professionale in forma di lavoro dipendente si svolge secondo specifiche disposizioni normative che assicurino l'autonomia del professionista» e dall'art. 33 del D.P.R. n. 333/1990, che, disciplinando l'ordinamento professionale, distingue area amministrativa, contabile e tecnica, ma non si occupa in modo preciso dell'assetto organizzativo degli uffici legali, lasciando, quindi, alla discrezionalità del vertice politico di ciascun ente l'effettuazione delle scelte ritenute in concreto più opportune.
La lettura combinata delle norme appena rassegnate, unitamente all'orientamento giurisprudenziale sopra ricordato, può essere di sostegno ad argomentazioni tese ad una certa uguaglianza tra la legge che disciplina l'attività dei professionisti legali rispetto alla disciplina del pubblico impiego, e al fine di non differenziare una categoria professionale, gli avvocati, tra libero foro e dipendenti sul piano dell'esercizio delle funzioni.
Con riferimento invece agli onorari e oneri riflessi, oltre alla normativa già indicata in apertura, bisogna osservare che già anteriormente alla contrattualizzazione del pubblico impiego (avvenuta nel 1998), la relativa disciplina, per la parte di interesse, era contenuta nel D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, “Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relativo al comparto del personale degli enti locali” (all'epoca unica norma valida anche per le regioni e asl), che all'art. 69, rubricato “Professionisti legali”, comma 2, stabiliva: “Al predetto personale spettano altresì i compensi di natura professionale previsti dal Regio Decreto 27 novembre 1933, n. 1578, recuperati a seguito di condanna della parte avversa soccombente”.
L'attuale disciplina legislativa sul pubblico impiego (D.Lgs. n. 165/2001) che si applica anche alle asl, demanda alla contrattazione collettiva la determinazione dei “diritti e (de)gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro”, al cui adempimento sono tenute le Pubbliche Amministrazioni, assicurandone l'osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti (art. 40, commi 1 e 4), statuendo, in particolare, che “il trattamento economico fondamentale ed accessorio….. è definito dai contratti collettivi” e che “le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti…..parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi” (art. 45, commi 1 e 2). Il comma 3 quinquies dell'art. 40 specifica: “..Le pubbliche amministrazioni non possono in ogni caso sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile…”.
In applicazione della citata normativa, l'art. 27 del C.C.N.L integrativo del Comparto Regioni ed Enti Locali del 14.09.2000 dispone: “gli Enti locali provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'Ente, secondo i principi di cui al R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all'art. 10 del C.C.N.L. del 31.03.1999”. Nello stesso senso è anche l'art. 37 del C.C.N.L. del Comparto Regioni ed Enti Locali - Area dirigenza del 23.12.1999, che contiene solo la specificazione “valutando l'eventuale esclusione, totale o parziale, dei dirigenti interessati dalla erogazione della retribuzione di risultato”.
Entrambe le citate norme contengono, altresì, la seguente disposizione finale: “Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi Enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente C.C.N.L.”.
Ora, il R.D.L. n. 1578/1933, convertito con modificazioni in legge 36/1934, reca l' “Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore”. Per quanto di interesse, dispone l'art. 21, commi 1, 2 e 3, R.D. 30/10/1933 n. 1611, concernente l' “Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull`ordinamento dell`Avvocatura dello Stato”:
“1. L`avvocatura generale dello Stato e le avvocature distrettuali nei giudizi da esse rispettivamente trattati curano la esazione delle competenze di avvocato e di procuratore nei confronti delle controparti quando tali competenze siano poste a carico delle controparti stesse per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione.
2. Con l`osservanza delle disposizioni contenute nel titolo II della legge 25 novembre 1971, n. 1041, tutte le somme di cui al precedente comma e successivi vengono ripartite per sette decimi tra gli avvocati e procuratori di ciascun ufficio in base alle norme del regolamento e per tre decimi in misura uguale fra tutti gli avvocati e procuratori dello Stato. La ripartizione ha luogo dopo che i titoli, in base ai quali le somme sono state riscosse, siano divenuti irrevocabili: le sentenze per passaggio in giudicato, le rinunce per accettazione e le transazioni per approvazione.
3.Negli altri casi di transazione dopo sentenza favorevole alle Amministrazioni dello Stato e nei casi di pronunciata compensazione di spese in cause nelle quali le Amministrazioni stesse non siano rimaste soccombenti, sarà corrisposta dall`Erario all`Avvocatura dello Stato, con le modalità stabilite dal regolamento, la metà delle competenze di avvocato e di procuratore che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente. Quando la compensazione delle spese sia parziale, oltre la quota degli onorari riscossa in confronto del soccombente sarà corrisposta dall`Erario la metà della quota di competenze di avvocato e di procuratore sulla quale cadde la compensazione”.
In altri termini, differentemente dal passato, con tale regolamentazione pattizia, si è voluto introdurre anche presso gli EE.LL., proprio per quelle ragioni di parità di trattamento, di cui all'art. 45, comma 2, D.Lgs. 165/2001, un sistema retributivo analogo a quello in vigore per l'Avvocatura dello Stato, peraltro già riconosciuto dalla giurisprudenza (T.A.R. Veneto, sez. II, 14 settembre 1989, n. 1123; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 14 marzo 1990, n. 44; Consiglio Stato, sez. IV, 29 dicembre 1987, n. 869).
D'altro canto, la stessa contrattazione collettiva, in linea con tale “ratio” ispiratrice, fa salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi Enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione dei CNLL. del 1999 e del 2000. In concreto, le parti contrattuali, secondo un principio di parità di trattamento, hanno sempre ancorato per tutti gli avvocati dipendenti, anche quelli degli EE.LL., la debenza di compensi professionali semplicemente alla ricorrenza di sentenze favorevoli, superando, “in melius”, la previgente disciplina (ante '88), che ne subordinava la spettanza agli importi “recuperati” a seguito di condanna della parte avversa soccombente (art. 69, comma 2, del D.P.R. 268/87). Tale ultima norma, dunque, aveva cessato di avere vigore a seguito della sottoscrizione dei nuovi contratti collettivi nazionali che disciplinano la materia in modo difforme.
Pertanto, a seguito di tali disposizioni, per la determinazione di detti compensi si fa riferimento ai diritti ed onorari calcolati nella misura del minimo previsto dalla tariffa professionale forense, con riferimento al valore venale delle controversie ed al grado dell'autorità adita, ovvero nella misura stabilita nella sentenza, nei casi di condanna della parte avversa soccombente.
In conclusione, posto che gli avvocati e procuratori degli uffici istituiti presso enti pubblici sono titolari di uno “status” particolare caratterizzato dal fatto che essi sintetizzano la qualità di pubblici impiegati e quella di professionisti iscritti nel relativo Albo professionale, particolarità giustificata dalla peculiarità delle funzioni svolte, la disciplina del loro trattamento retributivo prevede che essi fruiscano, in aggiunta allo stipendio tabellare, di una quota di retribuzione, a titolo di onorari per prestazioni professionali, quantificata sulla base della legge e delle tariffe professionali forensi (Corte Cost., sent. n. 33/2009; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 14 giugno 2001, n. 879; T.A.R. Umbria Perugia, 31 gennaio 1998, n. 137).
Naturalmente, essendo gli onorari parte della retribuzione, anche su tale quota di emolumenti l'Ente datore di lavoro deve corrispondere i contributi (oneri riflessi) per la parte di sua pertinenza (così come al dipendente viene trattenuta la quota di sua pertinenza unitamente all'aliquota IRPEF).
La questione si è venuta a complicare dopo l'entrata in vigore della legge finanziaria 2006 che all' art. 1 -comma 208 (Legge 266/2005) concernente il contenimento degli oneri di personale a carico degli enti, ha disposto che “Le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro”. Dal tenore letterale di tale disposizione, pare si tratti di una norma concernente la tecnica di formazione del bilancio pubblico (come, del resto, è titolata la legge finanziaria "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato") nel senso che la P.A., nello stabilire in apposito capitolo, appunto, di bilancio, lo stanziamento delle somme da corrispondere ai propri legali interni, deve altresì prevedere, nello stesso capitolo, la voce di spesa relativa agli oneri riflessi a suo carico dovuti, sulle predette somme, a titolo di INPDAP ed IRAP in modo che, nel bilancio medesimo, risulti un'unica voce (comprensiva sia dei compensi professionali da corrispondere, sia degli oneri riflessi a carico dell'Ente) dalla quale risulti, unitariamente, il quantum della spesa complessiva che la P.A. dovrà sostenere per la liquidazione degli onorari ai propri legali. Molti enti. muovendo dalla considerazione che la norma succitata sia finalizzata al contenimento della spesa pubblica, hanno ritenuto che con l'espressione “oneri riflessi” il legislatore avesse inteso riferirsi sia agli oneri previdenziali ed assistenziali, sia agli oneri fiscali (IRAP), con la conseguenza che le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali dovessero essere erogate al singolo avvocato dipendente dell'Ente al netto dei suddetti oneri. E' stato poi chiarito che con tale formulazione la norma abbia inteso riferirsi agli oneri previdenziali ed assistenziali, escludendo quindi quelli fiscali.
In definitiva, fra gli oneri riflessi che, per la quota del datore di lavoro, dal 1/1/2006 gli enti trattengono ai dipendenti/avvocati, l'IRAP non può essere trattenuta e, nel caso di vittoria a spese compensate, la P.A. dovrà aggiungere l'8,5% alla quota degli onorari.
Vengono invece trattenuti sugli onorari liquidati al 50% dei minimi tariffari gli oneri anche per la quota datoriale (oltre a quella del lavoratore) relativi a CPDEL per una percentuale pari al 23,8% e INAIL per una percentuale variabile fra l'1,10% e il 2,121%, a seconda dell'ente.
Il problema degli oneri accessori (oneri riflessi) dovuti sulle somme liquidate con sentenza a titolo di spese, competenze ed onorari a favore della parte vittoriosa qualora questa sia un Ente pubblico assistito da avvocatura propria non è dunque nuovo ed è già stato affrontato in varie sedi.
Come già detto, al Consiglio dell'Ordine viene chiesto se gli oneri riflessi (contributivi e previdenziali) del dipendente pubblico con qualifica di avvocato iscritto nell'elenco speciale, siano addebitabili alla parte soccombente di un giudizio, analogamente a quanto avviene per IVA e CPA dell'avvocato del libero Foro.
Il punto di partenza è il criterio della soccombenza di cui all'91 cpc che impone che le spese processuali siano addebitate al soggetto che risulta non vittorioso nella causa.
Anche ai fini di una migliore chiarezza espositiva, è bene rammentare che per “spese processuali” si intendono genericamente tutte le somme dovute al difensore per la prestazione svolta in favore del proprio assistito e comprendono il rimborso delle spese giustificate (c.d. anticipazioni); le spese imponibili; i diritti e gli onorari di avvocato previsti dalla Tariffa Forense; il rimborso forfettario per le spese generali in ragione del 12,50% sull'importo degli onorari; e per gli avvocati del libero Foro, la Cassa Avvocati (CNPA) oggi pari (e fino al 2015) al 4% sull'imponibile e l'IVA da calcolarsi sull'imponibile sommato alla cassa avvocati.
Nella questione in esame, peraltro, il cliente può essere indifferentemente rappresentato da un privato (persona fisica o giuridica) oppure una pubblica amministrazione, mentre bisogna tenere distinte le due ipotesi nelle quali il “cliente” Ente pubblico datore di lavoro sia completamente vittorioso, con condanna della parte soccombente alle spese di lite, da quella ovvero con compensazione delle spese.
Con riferimento a quest'ultimo aspetto, sul piano del diritto non cambia nulla: l'avvocato, sia egli del libero Foro che pubblico, si regolerà direttamente con il proprio cliente.
Con riferimento invece all'ipotesi di vittoria processuale con condanna della controparte alle spese, per quanto sopra esposto, giusta o sbagliati che ne sia l'interpretazione normativa data dagli enti, e sulla base del principio di una tendenziale uguaglianza di trattamento dei professionisti siano essi del libero Foro che dell'avvocatura pubblica, pare sperequativo il trattamento riservato agli avvocati pubblici che dal loro onorario, quale che sia, si vedono scorporare dall'ente, e non aggiungere come per l'avvocato del libero Foro (CNPA), la percentuale determinata ai fini previdenziali (CPDEL) senza possibilità di poterla ripetere in capo alla parte interamente soccombente del giudizio.
Una richiesta in tal senso, formulata nell'ambito della redazione della nota spese giudiziale che anche l'avvocato pubblico deve presentare al termine del giudizio, pare possa ritenersi giustificata e compatibile anche alla luce della recente sentenza della Cassazione 26/11/2010 n. 24081, in materia di rimborso forfetario spese generali, atteso peraltro che il quantum non può essere liquidato dal giudice se non a fronte di apposita domanda del professionista, in applicazione dei principi previsti dagli artt. 99 e 112 cpc.
Riferisce il Consigliere Avv. Sandro Callegaro in merito alla richiesta di parere pervenuta dal Responsabile del Dipartimento Amministrativo U.O.C. dell'Azienda U.S.L. di Bologna, Avv. Cristina Caravita, in merito alla applicabilità degli oneri riflessi (contributivi e previdenziali) del dipendente pubblico con qualifica di Avvocato iscritto nell'Elenco Speciale alla parte soccombente di un giudizio, analogamente a quanto avviene per l'applicazione di Imposta sul Valore Aggiunto e Cassa Nazionale Previdenziale ed Assistenziale per gli Avvocati del libero Foro.
Dopo ampia discussione il Consiglio fa propria la proposta del relatore ed adotta il seguente parere.
La questione non pare, a stretto rigore, di competenza del Consiglio, atteso che né IVA né contributi previdenziali possono essere oggetto di opinamento. Rimarrebbe l'ipotesi del comportamento disciplinarmente rilevante dell'avvocato che esponesse al proprio cliente, ovvero alla controparte, compensi od oneri non dovuti.
Anche se solo sotto tale ultimo profilo, vale comunque la pena affrontare l'argomento poiché l'occasione costituisce un valido pretesto per esaminare l'articolata e complessa materia che nel tempo si è notevolmente evoluta, al pari purtroppo di una asimmetrico approfondimento.
Va preliminarmente inquadrato il problema e la figura dell'”avvocato pubblico”, ovvero di un numero relativamente consistente di professionisti che, previo concorso pubblico, viene assunto alle dipendenze di un ente (comune, provincia, regione, parastato, asl, ecc.) e, dall'Ordine di appartenenza, iscritto in un “elenco speciale” annesso all'Albo.
Lo status degli avvocati pubblici è duplice: da un lato essi sono a tutti gli effetti dipendenti di un ente che versa i contributi previdenziali e pensionistici agli istituti previdenziali propri (Inpdap); dall'altro lato, esercitano la professione forense, votano per i rinnovi dei Consigli, in alcuni casi vengono eletti consiglieri dell'Ordine (es. Roma, Ancona e mi pare Palermo), pagano la tassa annuale d'iscrizione e sono sottoposti al potere disciplinare dell'Ordine d'appartenenza, oltre a quello del datore di lavoro. In ambito giurisdizionale essi possono patrocinare giudizi esclusivamente per l'Ente a cui appartengono.
L'argomento offre lo spunto per svolgere alcune considerazioni sul peculiare status giuridico attribuibile agli avvocati in servizio presso le amministrazioni pubbliche, al fine di collocare la spesa fiscale di cui si discute, calcolata sugli onorari percepiti dall'avvocato-dipendente, quale voce stipendiale fissa e continuativa (artt. 40 e 45, D.Lgs. 165/2001, artt. 3, 36, 97, 117, 118 Cost., art. 37 del C.C.N.L. Area dirigenziale 23.23.1999, art. 27 del C.C.N.L. 14.09.2000, R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e R.D. 30.10.1933, n. 1611, art. 69, comma 2, D.P.R. 13.05.1987, n. 268).
La giurisprudenza ha ripetutamente affrontato il problema dell'autonomia ed indipendenza dell'Ufficio Legale delle amministrazioni pubbliche in riferimento alla qualificazione attribuibile allo stato giuridico degli avvocati ad esso addetti, estrapolando le ragioni poste a fondamento delle decisioni assunte dalla formula adottata dall'art. 3 del R.D.L. n. 1578/1933 a tenore della quale, la posizione dell'avvocato in servizio presso uffici legali istituiti in enti statali, territoriali e locali è considerata “derogatoria” rispetto alla più generale incompatibilità sussistente fra l'esercizio della professione legale e qualunque altro impiego o ufficio retribuito.
A fare da completamento a tale precetto è intervenuta la sentenza nomofilattica della Suprema Corte pronunciata a Sezioni Unite (Cass., sez. un., 25.11.2008, n. 28049, Giust. civ., Mass., 2008, 11, p. 1678), in cui è contenuta la summa dei presupposti cui è subordinata l'iscrizione nell'elenco speciale, sopra ricordato:
1) l'esistenza di un ufficio legale quale unità organica autonoma;
2) l'inquadramento dell'avvocato nell'ufficio legale dell'amministrazione di cui è dipendente, con incarico professionale limitato alle cause ed agli affari propri dell'ente.
L'art. 3 cit., dunque, sotto il profilo soggettivo, comporta il riconoscimento di una situazione giuridica particolare in capo agli avvocati pubblici, mentre, sotto il profilo oggettivo, presuppone, in relazione alla collocazione dell'Avvocatura nella struttura pubblica, la necessità di considerare un'autonoma e indipendente organizzazione operativa che consenta, da una parte, l'inserimento nell'organigramma delle amministrazioni e, dall'altro, il libero esercizio delle funzioni che connotano particolarmente la prestazione lavorativa del professionista.
Tale condizione rende, pertanto, evidente come l'esercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici, debba esplicarsi attraverso l'istituzione di appositi uffici legali, costituendo una modalità tipica dell'esercizio della professione da parte degli avvocati pubblici. Ciò obbedisce, infatti, alla palese finalità di salvaguardare i dipendenti che svolgono attività di assistenza, rappresentanza e difesa in giudizio per conto dell'amministrazione di appartenenza in un'apposita struttura organizzativa che valga, da una parte, ad inserirli nel più generale ordinamento dell'ente e, dall'altra, a consentire e assicurare l'autonomo esercizio delle loro particolari funzioni, al pari dei liberi professionisti, in assenza del quale verrebbe meno la natura professionale dell'attività svolta.
In tal modo, il rispetto del richiamato art.3, R.D.L.1578/33, può dirsi verificato, in concreto, non solo quando sussista un'apposita ed autonoma struttura deputata all'assolvimento delle peculiari funzioni degli avvocati dipendenti di enti pubblici, ma anche quando a questi ultimi sia comunque garantita l'indipendenza nell'esercizio dello jus postulandi e l'autonomia di movimento ad esso indubbiamente connessa, essendo sganciati dalla “piramide” gestionale dell'amministrazione. Ciò scaturisce dalla fondamentale ragione per cui il coinvolgimento, diretto o indiretto, degli avvocati degli uffici legali nelle attività di gestione delle unità amministrative, oltre a far venir meno il carattere dell'esclusività, potrebbe determinare, sebbene solo potenzialmente, un conflitto d'interessi e una confusione di ruoli e di responsabilità (Cass. S.U. 18359/2009).
A fronte di ciò, è stata affermata l'illegittimità dell'atto con cui l'amministrazione prevedeva di subordinare gerarchicamente l'Avvocatura ad un dirigente di unità operativa, dato che la peculiarità dell'attività forense, per cui l'avvocato è libero di esercitare la difesa del proprio patrocinato, mal si presta ad essere inquadrata in una struttura di tipo gerarchico che non assicura, oltre alla libertà dell'esercizio dell'attività di difesa, anche l'autonomia del professionista nella trattazione degli affari giuridico-legali (Cons. Giust. Amm. Regione Siciliana, sez. giurisdizionale, 15.10.2009, n. 932; n. 9/2009; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 30.3.2009, n. 255).
La norma di cui all'art. 3 della legge professionale, contempla semplicemente l'istituzione dell'ufficio legale, e non anche della struttura organizzativa. Ciò a motivo del fatto che la finalità da essa stessa perseguita è riconducibile ad una garanzia di tipo funzionale, correlata all'attività esercitata dall'avvocato pubblico e legata intimamente al riconoscimento dello status professionale peculiare dell'iscritto all'elenco speciale annesso all'Albo, che in nulla si dovrebbe differenziare dallo status professionale dell'avvocato del libero foro.
Conseguentemente diviene imprescindibile assicurare, nel contempo, l'inserimento nell'assetto organizzativo dell'ufficio legale e l'autonomia funzionale del professionista, dovendosi coerentemente distinguere, da una parte, l'attività legale e, dall'altra, l'attività amministrativa (così anche Cons. St., sez. V, 15.10.2009, n. 6336, a cui l'avvocato non può essere adibito in assoluto, indipendentemente dal rapporto di dipendenza e dall'autonomia maggiore o minore goduta dal tipo di P.A. (Comune piuttosto che ASL, Provincia piuttosto che INAIL, ecc).
Analogamente, la Corte Costituzionale ha riconosciuto come «secondo l'ormai costante indirizzo giurisprudenziale dei giudici amministrativi, gli avvocati e i procuratori degli enti pubblici, sono da considerarsi nello stesso tempo sia professionisti, sia impiegati, nel senso che, nello svolgimento del loro lavoro professionale hanno garantita una posizione di indipendenza e sono sottoposti al controllo dei Consigli dell'Ordine professionali». (Corte Cost., 8.7.1988, n. 928),
Sotto altro profilo, va, ulteriormente, evidenziato come gli appartenenti al ruolo legale, rispondendo direttamente al legale rappresentante dell'ente, a norma dell'art. 15 della legge n. 70/1975, si distinguano per una specifica responsabilità che, da un lato, presuppone la piena autonomia di funzione, e dall'altro una libertà di movimento correlata all'esercizio dello jus postulandi . Così a mente dell'art. 40, comma 2, ultima parte, del D.Lgs. n. 165/ 2001 (T.U. pubblico impiego) «per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi oppure tecnico scientifici e di ricerca, sono stabilite discipline distinte nell'ambito dei contratti collettivi di comparto». Il successivo art. 69, comma 11, stabilisce poi che «in attesa di un'organica normativa della materia, restano ferme le norme che disciplinano, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, l'esercizio delle professioni per le quali sono richieste l' abilitazione o l'iscrizione ad ordini o agli albi professionali» (cioè si dovrebbe intendere la legge professionale). Il quadro legislativo in materia è, inoltre, integrato dall'art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 30/2006, ai sensi della quale «l'esercizio dell'attività professionale in forma di lavoro dipendente si svolge secondo specifiche disposizioni normative che assicurino l'autonomia del professionista» e dall'art. 33 del D.P.R. n. 333/1990, che, disciplinando l'ordinamento professionale, distingue area amministrativa, contabile e tecnica, ma non si occupa in modo preciso dell'assetto organizzativo degli uffici legali, lasciando, quindi, alla discrezionalità del vertice politico di ciascun ente l'effettuazione delle scelte ritenute in concreto più opportune.
La lettura combinata delle norme appena rassegnate, unitamente all'orientamento giurisprudenziale sopra ricordato, può essere di sostegno ad argomentazioni tese ad una certa uguaglianza tra la legge che disciplina l'attività dei professionisti legali rispetto alla disciplina del pubblico impiego, e al fine di non differenziare una categoria professionale, gli avvocati, tra libero foro e dipendenti sul piano dell'esercizio delle funzioni.
Con riferimento invece agli onorari e oneri riflessi, oltre alla normativa già indicata in apertura, bisogna osservare che già anteriormente alla contrattualizzazione del pubblico impiego (avvenuta nel 1998), la relativa disciplina, per la parte di interesse, era contenuta nel D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, “Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relativo al comparto del personale degli enti locali” (all'epoca unica norma valida anche per le regioni e asl), che all'art. 69, rubricato “Professionisti legali”, comma 2, stabiliva: “Al predetto personale spettano altresì i compensi di natura professionale previsti dal Regio Decreto 27 novembre 1933, n. 1578, recuperati a seguito di condanna della parte avversa soccombente”.
L'attuale disciplina legislativa sul pubblico impiego (D.Lgs. n. 165/2001) che si applica anche alle asl, demanda alla contrattazione collettiva la determinazione dei “diritti e (de)gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro”, al cui adempimento sono tenute le Pubbliche Amministrazioni, assicurandone l'osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti (art. 40, commi 1 e 4), statuendo, in particolare, che “il trattamento economico fondamentale ed accessorio….. è definito dai contratti collettivi” e che “le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti…..parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi” (art. 45, commi 1 e 2). Il comma 3 quinquies dell'art. 40 specifica: “..Le pubbliche amministrazioni non possono in ogni caso sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile…”.
In applicazione della citata normativa, l'art. 27 del C.C.N.L integrativo del Comparto Regioni ed Enti Locali del 14.09.2000 dispone: “gli Enti locali provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'Ente, secondo i principi di cui al R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all'art. 10 del C.C.N.L. del 31.03.1999”. Nello stesso senso è anche l'art. 37 del C.C.N.L. del Comparto Regioni ed Enti Locali - Area dirigenza del 23.12.1999, che contiene solo la specificazione “valutando l'eventuale esclusione, totale o parziale, dei dirigenti interessati dalla erogazione della retribuzione di risultato”.
Entrambe le citate norme contengono, altresì, la seguente disposizione finale: “Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi Enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente C.C.N.L.”.
Ora, il R.D.L. n. 1578/1933, convertito con modificazioni in legge 36/1934, reca l' “Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore”. Per quanto di interesse, dispone l'art. 21, commi 1, 2 e 3, R.D. 30/10/1933 n. 1611, concernente l' “Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull`ordinamento dell`Avvocatura dello Stato”:
“1. L`avvocatura generale dello Stato e le avvocature distrettuali nei giudizi da esse rispettivamente trattati curano la esazione delle competenze di avvocato e di procuratore nei confronti delle controparti quando tali competenze siano poste a carico delle controparti stesse per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione.
2. Con l`osservanza delle disposizioni contenute nel titolo II della legge 25 novembre 1971, n. 1041, tutte le somme di cui al precedente comma e successivi vengono ripartite per sette decimi tra gli avvocati e procuratori di ciascun ufficio in base alle norme del regolamento e per tre decimi in misura uguale fra tutti gli avvocati e procuratori dello Stato. La ripartizione ha luogo dopo che i titoli, in base ai quali le somme sono state riscosse, siano divenuti irrevocabili: le sentenze per passaggio in giudicato, le rinunce per accettazione e le transazioni per approvazione.
3.Negli altri casi di transazione dopo sentenza favorevole alle Amministrazioni dello Stato e nei casi di pronunciata compensazione di spese in cause nelle quali le Amministrazioni stesse non siano rimaste soccombenti, sarà corrisposta dall`Erario all`Avvocatura dello Stato, con le modalità stabilite dal regolamento, la metà delle competenze di avvocato e di procuratore che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente. Quando la compensazione delle spese sia parziale, oltre la quota degli onorari riscossa in confronto del soccombente sarà corrisposta dall`Erario la metà della quota di competenze di avvocato e di procuratore sulla quale cadde la compensazione”.
In altri termini, differentemente dal passato, con tale regolamentazione pattizia, si è voluto introdurre anche presso gli EE.LL., proprio per quelle ragioni di parità di trattamento, di cui all'art. 45, comma 2, D.Lgs. 165/2001, un sistema retributivo analogo a quello in vigore per l'Avvocatura dello Stato, peraltro già riconosciuto dalla giurisprudenza (T.A.R. Veneto, sez. II, 14 settembre 1989, n. 1123; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 14 marzo 1990, n. 44; Consiglio Stato, sez. IV, 29 dicembre 1987, n. 869).
D'altro canto, la stessa contrattazione collettiva, in linea con tale “ratio” ispiratrice, fa salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi Enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione dei CNLL. del 1999 e del 2000. In concreto, le parti contrattuali, secondo un principio di parità di trattamento, hanno sempre ancorato per tutti gli avvocati dipendenti, anche quelli degli EE.LL., la debenza di compensi professionali semplicemente alla ricorrenza di sentenze favorevoli, superando, “in melius”, la previgente disciplina (ante '88), che ne subordinava la spettanza agli importi “recuperati” a seguito di condanna della parte avversa soccombente (art. 69, comma 2, del D.P.R. 268/87). Tale ultima norma, dunque, aveva cessato di avere vigore a seguito della sottoscrizione dei nuovi contratti collettivi nazionali che disciplinano la materia in modo difforme.
Pertanto, a seguito di tali disposizioni, per la determinazione di detti compensi si fa riferimento ai diritti ed onorari calcolati nella misura del minimo previsto dalla tariffa professionale forense, con riferimento al valore venale delle controversie ed al grado dell'autorità adita, ovvero nella misura stabilita nella sentenza, nei casi di condanna della parte avversa soccombente.
In conclusione, posto che gli avvocati e procuratori degli uffici istituiti presso enti pubblici sono titolari di uno “status” particolare caratterizzato dal fatto che essi sintetizzano la qualità di pubblici impiegati e quella di professionisti iscritti nel relativo Albo professionale, particolarità giustificata dalla peculiarità delle funzioni svolte, la disciplina del loro trattamento retributivo prevede che essi fruiscano, in aggiunta allo stipendio tabellare, di una quota di retribuzione, a titolo di onorari per prestazioni professionali, quantificata sulla base della legge e delle tariffe professionali forensi (Corte Cost., sent. n. 33/2009; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 14 giugno 2001, n. 879; T.A.R. Umbria Perugia, 31 gennaio 1998, n. 137).
Naturalmente, essendo gli onorari parte della retribuzione, anche su tale quota di emolumenti l'Ente datore di lavoro deve corrispondere i contributi (oneri riflessi) per la parte di sua pertinenza (così come al dipendente viene trattenuta la quota di sua pertinenza unitamente all'aliquota IRPEF).
La questione si è venuta a complicare dopo l'entrata in vigore della legge finanziaria 2006 che all' art. 1 -comma 208 (Legge 266/2005) concernente il contenimento degli oneri di personale a carico degli enti, ha disposto che “Le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro”. Dal tenore letterale di tale disposizione, pare si tratti di una norma concernente la tecnica di formazione del bilancio pubblico (come, del resto, è titolata la legge finanziaria "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato") nel senso che la P.A., nello stabilire in apposito capitolo, appunto, di bilancio, lo stanziamento delle somme da corrispondere ai propri legali interni, deve altresì prevedere, nello stesso capitolo, la voce di spesa relativa agli oneri riflessi a suo carico dovuti, sulle predette somme, a titolo di INPDAP ed IRAP in modo che, nel bilancio medesimo, risulti un'unica voce (comprensiva sia dei compensi professionali da corrispondere, sia degli oneri riflessi a carico dell'Ente) dalla quale risulti, unitariamente, il quantum della spesa complessiva che la P.A. dovrà sostenere per la liquidazione degli onorari ai propri legali. Molti enti. muovendo dalla considerazione che la norma succitata sia finalizzata al contenimento della spesa pubblica, hanno ritenuto che con l'espressione “oneri riflessi” il legislatore avesse inteso riferirsi sia agli oneri previdenziali ed assistenziali, sia agli oneri fiscali (IRAP), con la conseguenza che le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali dovessero essere erogate al singolo avvocato dipendente dell'Ente al netto dei suddetti oneri. E' stato poi chiarito che con tale formulazione la norma abbia inteso riferirsi agli oneri previdenziali ed assistenziali, escludendo quindi quelli fiscali.
In definitiva, fra gli oneri riflessi che, per la quota del datore di lavoro, dal 1/1/2006 gli enti trattengono ai dipendenti/avvocati, l'IRAP non può essere trattenuta e, nel caso di vittoria a spese compensate, la P.A. dovrà aggiungere l'8,5% alla quota degli onorari.
Vengono invece trattenuti sugli onorari liquidati al 50% dei minimi tariffari gli oneri anche per la quota datoriale (oltre a quella del lavoratore) relativi a CPDEL per una percentuale pari al 23,8% e INAIL per una percentuale variabile fra l'1,10% e il 2,121%, a seconda dell'ente.
Il problema degli oneri accessori (oneri riflessi) dovuti sulle somme liquidate con sentenza a titolo di spese, competenze ed onorari a favore della parte vittoriosa qualora questa sia un Ente pubblico assistito da avvocatura propria non è dunque nuovo ed è già stato affrontato in varie sedi.
Come già detto, al Consiglio dell'Ordine viene chiesto se gli oneri riflessi (contributivi e previdenziali) del dipendente pubblico con qualifica di avvocato iscritto nell'elenco speciale, siano addebitabili alla parte soccombente di un giudizio, analogamente a quanto avviene per IVA e CPA dell'avvocato del libero Foro.
Il punto di partenza è il criterio della soccombenza di cui all'91 cpc che impone che le spese processuali siano addebitate al soggetto che risulta non vittorioso nella causa.
Anche ai fini di una migliore chiarezza espositiva, è bene rammentare che per “spese processuali” si intendono genericamente tutte le somme dovute al difensore per la prestazione svolta in favore del proprio assistito e comprendono il rimborso delle spese giustificate (c.d. anticipazioni); le spese imponibili; i diritti e gli onorari di avvocato previsti dalla Tariffa Forense; il rimborso forfettario per le spese generali in ragione del 12,50% sull'importo degli onorari; e per gli avvocati del libero Foro, la Cassa Avvocati (CNPA) oggi pari (e fino al 2015) al 4% sull'imponibile e l'IVA da calcolarsi sull'imponibile sommato alla cassa avvocati.
Nella questione in esame, peraltro, il cliente può essere indifferentemente rappresentato da un privato (persona fisica o giuridica) oppure una pubblica amministrazione, mentre bisogna tenere distinte le due ipotesi nelle quali il “cliente” Ente pubblico datore di lavoro sia completamente vittorioso, con condanna della parte soccombente alle spese di lite, da quella ovvero con compensazione delle spese.
Con riferimento a quest'ultimo aspetto, sul piano del diritto non cambia nulla: l'avvocato, sia egli del libero Foro che pubblico, si regolerà direttamente con il proprio cliente.
Con riferimento invece all'ipotesi di vittoria processuale con condanna della controparte alle spese, per quanto sopra esposto, giusta o sbagliati che ne sia l'interpretazione normativa data dagli enti, e sulla base del principio di una tendenziale uguaglianza di trattamento dei professionisti siano essi del libero Foro che dell'avvocatura pubblica, pare sperequativo il trattamento riservato agli avvocati pubblici che dal loro onorario, quale che sia, si vedono scorporare dall'ente, e non aggiungere come per l'avvocato del libero Foro (CNPA), la percentuale determinata ai fini previdenziali (CPDEL) senza possibilità di poterla ripetere in capo alla parte interamente soccombente del giudizio.
Una richiesta in tal senso, formulata nell'ambito della redazione della nota spese giudiziale che anche l'avvocato pubblico deve presentare al termine del giudizio, pare possa ritenersi giustificata e compatibile anche alla luce della recente sentenza della Cassazione 26/11/2010 n. 24081, in materia di rimborso forfetario spese generali, atteso peraltro che il quantum non può essere liquidato dal giudice se non a fronte di apposita domanda del professionista, in applicazione dei principi previsti dagli artt. 99 e 112 cpc.
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