sabato 11 agosto 2012
AVVOCATI PUBBLICI E IRAP (passando per il rimborso della tassa d'iscrizione all'Albo)
In merito al contestato “parere” della Corte dei Conti a Sezioni Riunite, n, 33/2010, oggetto di articolo pubblicato il 26 luglio scorso su Il Sole 24 Ore, questa Associazione aveva preso posizione evidenziando come l'interpretazione data dagli autori dell'articolo non fosse in linea con quanto sostenuto dalla giurisprudenza e neppure con quanto sostenuto, in maniera certamente non limpida ma comprensibile, dalla Corte dei Conti.
Com'è logico, gli autori interpellati al riguardo non hanno certamente sconfessato se stessi, replicando a UNAEP con la conferma della posizione espressa.
Ebbene, a contraddire tale superficiale opinione questa volta non interviene l'Unione Nazionale degli Avvocati degli Enti Pubblici, bensì un Tribunale della Repubblica.
Infatti, il Tribunale di Treviso-Sezione Lavoro, con sentenza n. 563/2010 del 26 novembre, chiamato a decidere sulla debenza dell'IRAP in capo agli avvocati dipendenti piuttosto che fra gli oneri dovuti dal datore di lavoro, ha stabilito che “anche le Sezioni Unite della Corte dei Conti, con il parere n. 33 del 7.6.2010, hanno chiarito che l'IRAP grava sull'amministrazione e non rientra nella nozione di oneri riflessi di cui all'art. 1, comma 208, della L. n. 266/2005. Non vi possono essere dubbi, pertanto, che l'IRAP non rientra e non rientrava tra gli oneri riflessi a carico del datore di lavoro da computare sui compensi lordi erogati agli avvocati dell'Avvocatura Civica”.
Tale decisione del Tribunale del Lavoro è ispirata, a differenza del “parere” di un organo consultivo, all'art. 23 della Carta Costituzionale, poiché l'IRAP è un tributo e, in materia tributaria, né la Corte dei Conti, né un Ente, possono individuare ulteriori o diversi soggetti passivi dell'obbligazione, se non violando la riserva di legge stabilita in materia tributaria per l'appunto dall'art. 23 della Costituzione, la cui imperatività rende inderogabile la disposizione da parte dei privati.
Il Tribunale del Lavoro si è poi espresso anche sulla rimborsabilità ai dipendenti avvocati della tassa annuale di iscrizione all'Elenco speciale annesso all'Albo.
Anche in tal caso la decisione è supportata dalla funzione nomofilattica già svolta al riguardo dalla Suprema Corte di Cassazione (sent. N. 3928 del 20/2/2007) e non fondata su “pareri” privi di qualsiasi vincolatività ed obbligatorietà. Il Tribunale del Lavoro di Treviso, conformandosi alla tesi della Suprema Corte, ha ritenuto che “è a carico del datore di lavoro tutto ciò che è necessario per consentire al dipendente di espletare la propria attività lavorativa”, dunque, “spetta alla Pubblica Amministrazione di appartenenza il pagamento della quota annuale di iscrizione dell'avvocato pubblico dipendente all'Elenco speciale annesso all'Albo professionale” atteso che tale spesa annuale non attiene all'acquisizione dello status di avvocato -conditio per l'assegnazione ad una Avvocatura pubblica- bensì “all'esercizio della professione nell'esclusivo interesse del datore di lavoro e, conseguentemente, il dipendente ha diritto al rimborso”.
In sostanza Tribunale del Lavoro e Cassazione Sezione Lavoro, hanno ritenuto che la peculiarità del rapporto di lavoro dipendente per l'avvocato, che comporta un vincolo assoluto di esclusività, fa sì che sia “l'Ente pubblico datore di lavoro a doversi accollare integralmente tutte le spese necessarie a che il pubblico dipendente sia posto nelle condizioni di rendere la propria prestazione lavorativa e fornirgli a tal fine tutti gli strumenti necessari a proprie spese”. Hanno altresì specificato i Giudici, che tale somma non ha natura “retributiva” “poiché non diretta a remunerare la prestazione lavorativa”, viceversa ha natura di “rimborso”, “essendo finalizzata al reintegro del patrimonio del lavoratore inciso da una spesa strumentale all'esecuzione della prestazione di lavoro”.
In sostanza, a conti fatti il rischio per le pubbliche amministrazioni, in periodi di scarsità di risorse, è quello di veder sfumare molto più denaro a titolo di spese di soccombenza per liti che a tal punto sarebbero temerarie (oltre al tempo perso e, comunque, alla condanna al pagamento dell'IRAP e della tassa annuale), rispetto alle poche centinaia di euro che comporterebbe l'adeguamento volontario alle pronunce giudiziali.
Il Segretario Nazionale-Comparto ee.ll.
(avv. Antonella Trentini)
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