giovedì 23 agosto 2012

Legal Society: Tutta colpa del ferormone..! (o del pane fresco la mattina)



Tutta colpa del ferormone..!    (o del pane fresco la mattina)


In questi giorni ha tenuto banco, in spiaggia e al ristorante, come sulla stampa, l'articolo del Corriere della Sera con cui Paolo Conti ha sostenuto che a 58 anni è tardi per innamorarsi.
Hanno risposto l'involontario artefice di quell'outing di Conti, ovvero Michele Placido, poi Stefano Zecchi, Vittorio Feltri, Vittorio Sgarbi, per citare solo alcuni nomi noti, ma hanno pure risposto moltissime persone comuni, ad esempio in spiaggia.

Occupata dalle mia enigmistica senza schema, piuttosto complicata, mi sono ritrovata ad ascoltare improvvisate "tribune" sotto l'ombrellone dei miei vicini, dove si sono impegnati uomini e donne -tutti alquanto maturi- nel tormentone di questi giorni: è giusto che si innamori solo chi i capelli ce li ha?
Il primo malevolo commento riguarda il tipo della seconda fila, giovane senz'altro, sui 30-35 anni, ma senza capelli.....
Poi via libera ai commenti...Uno del gruppo sostiene di essere psicologo e che molte cause di depressione fra i non giovanissimi sono rappresentate dalla mancanza di un amore. Anche fra sposati o accompagnati. Mah?
Un altro ammiccante sostiene che solo con le scappatelle è riuscito a sopportare la moglie tanti anni, rimediando uno schiaffone sulla schiena.
Un altro ancora, con fare serio e compassato, ritiene che non esiste un'età convenzionale in cui ci si innamora. A lui non è accaduto da giovane quando si è sposato, ma è accaduto molti anni dopo..

.....Quello che noto di piú è, peró, la mancanza di partecipazione ... attiva delle donne della "combriccola", che annuiscono, osservano prima uno poi un altro, ma tacciono. Strano. Le donne non tacciono frequentemente quando si tratta di commentare i fatti del giorno.
E allora penso. Perchè tacciono?
Non saranno innamorate e non possono dire la loro opinione per non scoprirsi? Non avranno segreti da celare? Non staranno pensando ai casi loro, pensando proprio a chi vorrebbero e non hanno....?
Le donne sono molto piú complicate degli uomini ca comprendere...Ma io donna sono e credo di comprendere...
Eppoi, Chi pensa male fa peccato...ma ci prende! Andreotti docet.....
Nella mia catalogazione/osservazione penso che esistano fondamentalmente due tipi di uomini adulti: gli sbruffoni e i razionali. In entrambi i casi il machismo dell'uomo si infrange di fronte al sentimento, di fronte all'amore. Anche chi non lo ammetterà mai non è immune da sensazioni e sentimenti, anche chi esorcizza dicendo che è ridicolo, in fondo, se si guarda con obiettività nel profondo, comprende quando una persona è entrata "dentro" o quando è speciale, piú speciale degli altri.
Queste due categorie hanno, poi, molti sottogruppi: il danaroso (grasso, magro, bello, brutto), il potente (stesse tipologie), il danaroso/potente (idem...ma piú irresistibile per alcune donne).
Per la verità esiste anche il sentimentale, ma per lo piú è genere in estinzione e, di norma, non riscuote un enorme successo.
Quanto alle donne, io penso che ne esistano tre sostanziali categorie:
1) le donne sentimentali e basta
2) le donne attratte dal potere e/o dal denaro
3) le femmine
La categoria 1) è una categoria raccoglitore o bozzolo, destinata a mutare. Le donne della categoria 2) sono quelle che dovrebbero essere temute dagli uomini, poichè ne fanno parte per lo piú giovani donne cacciatrici, in grado di creare danni irreversibili all'uomo che descrive Conti, cioè a quell'uomo che non si rende conto di non essere lui l'oggetto dell'amore ma il ruolo che ricopre o il conto in banca di cui dispone. D'altra parte, e non me ne vogliano, se Placido fosse un idraulico di 66 anni, dubito molto che Federica si sarebbe "innamorata"di lui. Ma lo stesso ragionamento vale per Berlusconi, Briatore o Fini: figurarsi se fossero stati elettrauto nella loro bella tuta blu sporca di grasso...
La categoria n. 3) è quella giusta per far innamorare un uomo e, magari, per innamorarsi. Si tratta in genere di una donna bella, autonoma, di età giusta per il cinquantenne o sessantenne, ovvero un po' piú giovane, ma neppure di tanto o   al massimo di una decina d' anni. Se poi la femmina/donna in questione è affettuosa, amante valida e appartenente...be' allora quasi impossibile non far breccia. Ma questo tipo di donna, di norma, non è pericolosa, non cambia la testa...solo il cuore!

Io credo, caro Paolo Conti, che, trascorsa l'età in cui l'innamoramento è ingenuo, è riproduttivo-e-basta, solo chi non ha avuto la fortuna di uno scontro di fermoni, solo chi non ha incontrato una femmina degna di questo nome, una donna animale, possa sostenere che non ci si puó innamorare a partire da un determinato momento in poi della propria vita. Chi parla in questo modo o ha subito un grande dolore e vuole convincersi che no, l'amore non fa piú per lui, oppure è arido e cerca solo -se riesce- sfogo fisico.

Ma non funziona così.

Io credo che quando due “feromoni” si incontrano, la chimica si sostituisce a ció che "si vuole" o non si vuole, con ció di cui non puoi fare a meno. L'olfatto  coglie ció che la ragione neppure comprende, i sensi si riconoscono prima ancora che qualsiasi ragionamento, gli odori prendono il sopravvento: il profumo delle ascelle, delle parti intime, delle mani, della bocca, i sapori, che appartengono all'area meno razionale del cervello ma molto piu soddisfacente. 
Non a caso sostengono gli scienziati che "la preferenza di un “odore” piuttosto che un altro sia determinata dalla maggiore o minore compatibilità genetica tra due individui".  Sostengono che "Quando ci innamoriamo si attiva  tutta una serie di meccanismi psicologici e biochimici che rendono l’innamoramento molto simile alla dipendenza da sostanze. L’eccitazione fisiologica e sessuale, il bisogno costante e impellente dell’altro".


Insomma, caro Paolo Conti e cari tutti quelli che
pensate come lui, io credo che quando si avverte nell'aria quell'odore che si spande come l'aroma del pane fresco alle 5 del mattino, della torta appena sfornata...., quell'odore che ci trasforma in segugio sempre in cerca ad annusare l'aria e che se manca non respiri, quell'odore che la femmina e il maschio avvertono prima ancora che la donna e l'uomo, allora non c'è età che tenga.     

P.S. Il suocero di una mia amica alla veneranda età di 85 anni ha deciso di divorziare per andare a vivere con il suo amore. Non una bella ragazzetta moldava, non una giovane fanciulla attratta da chissà che. No. Una coetanea con cui da una vita aveva una relazione parallela e con la quale non aveva potuto o voluto fare diversamente quando aveva ancora tutti i capelli

                                        ........Evidentemente l'odore del pane      
alle 5 del mattino è fresco e buono 
anche a 85 anni!.... con o senza capelli! 

giovedì 16 agosto 2012

Legal fashion...La toga nella storia con un pizzico di ironia!

LA STORIA DEL SIMBOLO DI UNA PROFESSIONE:L'OBBLIGO PIÚ AMATO QUANDO INDOSSATO CON ONORE

Fin dai tempi dell'antica Roma era in auge la 'toga', di colore bianco per simboleggiare la purezza della funzione esercitata da chi la indossava.
Nel Medioevo il colore della toga si muta in nero, tipico del periodo storico, ove l'oscurantismo e l'inquisizione regnavano sovrani.

Chi non ricorderà il dottor Balanzone in toga nera? La tipica maschera che rappresenta(va) in chiave satirica il "giurista", figura legata alla tradizione della scuola forense dell'antica Università di Bologna. Naturalmente per sdrammatizzare il periodo storico in cui essa si inseriva, appunto il medioevo, il dottor Balanzone veniva raffigurato come simbolo della persona dotta, ma bonaria e saccente, di nero vestito.




Colore, il nero, giunto sino a noi. 
 
 
 
Ma....cosa rappresenta oggi la toga per oltre ...260.000 avvocati?
E..che significato attribuire, oggi, ad un indumento antico, nell'era dei social network, dei blog, della PEC negli uffici giudiziari?
Non sarà diventato un simbolo oggi anacronistico di cui poter far senza?

Certo che fa sorridere vederci mentre corriamo fra un tribunale e l'altro, perennemente in ritardo sugli orari delle udienze, con la toga sotto il braccio scivolare da ogni parte, lambire pozzanghere, farci inciampare, rimanere chiusa nella serrature dell'auto o impigliarsi nelle ruote dello scooter...
Come dicevo, la toga è sempre stata un indumento maschile, tipico dell'antica Roma, indossato dalla nobiltà, dalle cariche pubbliche e dai politici, qualità soggettive che spesso coincidevano e la cui differenziazione era visiva, in quanto diversamente orlata, rosso, oro... Si pensi alle molteplici "toghe" esistenti all'epoca romana: la toga virilis, indossata dai giovani alla maggiore età, la toga purpurea, indossata dal solo Imperatore, e la toga praetexta, abito di uso comune fra gli uomini nelle classi di censo elevato. Le donne non avevano toghe, semmai vesti..
Mentre nel Medioevo la toga costituiva l'indumento caratteristico della magistratura e di determinate professioni (i c.d. "parrucconi"...), fra cui naturalemente quella forense, assumendo l'odierno colore nero -quasi a dimostrare la solennità della funzione ricoperta da chi l'indossava, inquisitoria, in contrasto con la purezza che voleva simboleggiare nell'antica Roma.

Non solo il colore si modificó nel corso dei secoli, ma anche il modello: molto semplici in epoca romana, molto piú elaborati ed ...accessoriati nel corso dei secoli: infatti, da semplice sopraveste annodata su una spalla, ad abito vero e proprio, con maniche, abbellimenti, parrucche e colletti, poichè oltre al colore, si erano venuti sostituendo gli accessori, quale segno tangibile e visivo del grado soggettivo.

Ciò che non si era mai modificato era la "specie" che la indossava: la toga, singolare femminile, veniva utilizzata solo dagli uomini, plurale maschile!

Dopo il rapido tuffo compiuto nel passato, giungiamo ai giorni nostri.
Oggi la toga è usata da ..."tutti", donne e uomini, ma "solo" in pochi ambienti: 1) nel mondo "legale" (magistrati, avvocati e cancellieri), 2) nel mondo accademico.

E' rimasta però la "moda" dell'accessorio. Non come pensiamo noi, e cioè collane, braccialetti, orecchini, cinture...No. Solo cordoni (al massimo di diverso colore: rosso, oro o argento, con nastrini o senza nastrini, a seconda della funzione) e pettorina bianca,
abbelliscono chi la indossa.

            



     

Ma non a caso.
      Non si può scegliere ciò che più ci dona al 
            viso o al colore dell'incarnato o dei capelli.

La descrizione della toga è infatti dettagliata da un regio decreto del 1927 (il n. 3, all'art. 104), nel cui testo si apprendono i particolari, i colori, i casi di utilizzo e ... le sanzioni. Sì, anche le sanzioni. Dal testo dell'art. 104, infatti, si apprende che "si procede in via disciplinare contro coloro che contravvengono alla (...) disposizione", in materia di obbligatorietà di legge di indossare la toga ove sia richiesto.

Peccato. A me sarebbe molto piaciuta con i cordoni azzurro cielo, si sarebbe intonata alla perfezione col colore degli occhi...Mi consolo, poiché in ogni caso il nero sta bene col colore dei capelli, slancia e va sempre di moda...
A parte la femminilità con cui poche donne, purtroppo, decidono di esercitare una professione tipicamente e storicamente maschile (anche se oramai la percentuale femminile sta svoltando la boa numerica, che consentirebbe anche il "divieto di omologazione"),
la sensazione è che molti colleghi/e (soprattutto giovani colleghi/e), non conoscano l'esistenza di un precetto vincolante e sanzionante su questo capo d'abbigliamento ... da questi ritenuto demodé, ma vivano la toga come una fastidiosa consuetudine, che fa caldo in estate, lugubre e obsoleto retaggio d'altri tempi, oppure chi, al contrario, la vede come un vezzo ornamentale di valore simbolico, come qualsiasi altra divisa ("anvedi? sono il principe induscusso del foro"...). 

E allora? Che facciamo?  Ci pieghiamo alla toga solo perchè è un obbligo di legge?
No. Facciamolo per scelta, consapevole (...e non delle sanzioni)!

Vista la "crisi di valori" che la nostra società ... "in crisi" sta attraversando, visti gli attacchi concentrici che gli avvocati stanno subendo alla loro professione e a loro stessi (...e i cittadini non lo sanno, ma anche a loro giungono gli attacchi, ai loro interessi ed alla loro vita sociale), riscopriamo l'"orgoglio di vestire la toga", come nell'antica Roma, non l'"obbligo di vestire la toga" come nel Medioevo; riscopriamo la "liturgia di vestirla" e non la "spavalderia di possederla".

Mi piace l'invocazione di quel grande giurista che è stato Pietro Calamandrei: "..e che tutti vedano nella toga il simbolo di questa speranza...".
Da qui la consapevolezza di godere di un grande "onore e privilegio" a cui corrispondono altrettante grandi responsabilità professionali, morali ed intellettuali,  debba essere il nostro "nuovo abito mentale", prima ancora che un capo d'abbigliamento ... fashion o no fashion!

....almeno finché non ci obbligheranno a mettere anche il parruccone!!!!



Professioni - GU 14 agosto 2012, n. 189

da www.altalex.it

"Nuove regole per tutte le professioni ordinistiche, fatte salve in particolare le specificità di quelle sanitarie.
E' quanto prevede il DPR n. 137 del 7 agosto 2012, recante il regolamento di attuazione dei principi dettati dall’articolo 3, comma 5, del Decreto Legge n. 138 del 2011 in materia di professioni regolamentate, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14 agosto 2012.
Il decreto presidenziale contiene misure volte a garantire l’effettivo svolgimento dell’attività formativa durante il tirocinio e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione e quindi l’interesse dell’utenza.
Con l’entrata in vigore del decreto in esame sono abrogate tutte le norme incompatibili con quelle introdotte dal predetto. Successivamente, il Governo, entro il 31 dicembre 2012, provvederà a raccogliere le disposizioni aventi forza di legge che non risultano abrogate per effetto dell’articolo 3, comma 5 bis, del citato Decreto Legge.
(Altalex, 16 giugno 2012. Vedi le principali novità della riforma, nonchè la nota di Maria Morena Ragone e Fabrizio Sigillò)"

lunedì 13 agosto 2012

Avvocati, Italia ferma al '33. Spunti per un nuovo assetto

Avvocati, Italia ferma al '33. Spunti per un nuovo assetto

La proposta Lo Presti: unificare in un solo ente la miriade di avvocature che difendono il "pubblico"


Ordini professionali, che fare? Sorprendono le motivazioni addotte a sostegno dell'avversione per gli Ordini, così come vederne i teorici, per lo più editorialisti che si ergono a censori o, addirittura, detrattori, definendo "parassiti” i gruppi di professionisti i cui “privilegi” frenerebbero lo sviluppo, bloccherebbero la crescita, l'innovazione e la ricerca. Quali privilegi non si sa, anzi, l’on. Nino Lo Presti, esperto indiscusso di professioni, ha avuto modo di recente di precisare che «l’avvocatura non è categoria di privilegiati, i redditi sono in calo e il futuro sempre più incerto» per i numerosi iscritti under 50, che non riescono a raggiungere livelli minimi di dignità, dato che l’ordine forense non è contingentato, e dunque non può essere ritenuto una casta. V’è poi da dire che in tutti i paesi dell'Europa esiste l’Ordine degli avvocati compreso il Regno Unito, cui si vorrebbe far riferimento per la costituzione di società di capitali tra professionisti e non professionisti. Anzi, la peculiarità dell’Inghilterra e dei paesi anglosassoni, a ben vedere ci somiglia. Infatti, tali società possono esistere solo per la tipologia dei numerosi "solicitors", ovvero coloro che non possono difendere in udienza (se non nei tribunali minori, come avviene per i giudici di pace, in cui la parte può stare personalmente), bensì esercitare come agenti immobiliari o notai. E' invece preclusa ai pochi "barristers", gli avvocati veri e propri, gli unici a poter svolgere attività di difesa nelle varie Corti.

Ciò in cui deteniamo un primato europeo è che siamo gli unici ad avere una legge professionale ferma al 1933. 240.000 avvocati sono troppi, è vero, ma non diminuirebbero abolendo gli Ordini o gli esami d’accesso. Bisogna invece guardare alle vere sacche di privilegio entro le professioni, partendo a monte del problema, in due direzioni.

La prima, incentrata sui giovani: dall'Università, che si è ridotta a raccoglitore raccogliticcio di tutti coloro che non superano i tests delle facoltà a numero chiuso; al tirocinio, da rendere senz’altro più breve, ma più serio e più formativo, pagandolo, non abolendolo, motivando i giovani colleghi, non illudendoli. Quale futuro potrebbero avere giovani avvocati che speravano di superare i test di medicina o di architettura, e sono invece catapultati nella professione in quantità industriali? E dalla concorrenza con masse di avvocati, quali sbocchi economici il nostro giovane potrebbe mai raggiungere? E quale motivazione, in tali scenari, potrebbe mai trarre? Economica? Passione?

La seconda direzione dovrebbe riguardare l’eliminazione degli extra moenia: l’avvocato deve svolgere la sua professione a tempo pieno, da libero professionista o da dipendente. L’impressione è che, come spesso accade, piuttosto che riformare, si tenda a fare piccoli aggiustamenti e grandi proclami sul cambiare tutto perché non cambi niente.

Fatte queste premesse, occorre allargare la visuale e sgombrare il campo dagli inutili pregiudizi. Nell’enorme esercito degli avvocati italiani, vi è un drappello di opliti, gli avvocati dipendenti di enti pubblici, che costituisce un blocco “male equipaggiato” sul piano normativo, ma coraggioso e scelto, che quotidianamente lavora con passione perché la legalità dell’agire amministrativo prevalga, nell’interesse non solo del proprio cliente (ente pubblico), ma in quello superiore che è l’interesse pubblico.

Rammento che, al riguardo l’on. Nino Lo Presti, ha recentemente sostenuto che «per gli avvocati degli enti pubblici, l’impegno del Parlamento è quello di definirne una volta per tutte, nell’ambito della riforma della professione forense, il ruolo, l’autonomia e il trattamento, dovendosi salvaguardare, infatti, l’imprescindibile e preziosa funzione che gli avvocati pubblici svolgono a presidio della legalità nell’interesse sia delle pubbliche amministrazioni, sia dei cittadini che entrano in contatto con esse». Infatti, grazie a Lo Presti, la "riforma" giacente alla Camera contiene per la prima volta una norma specifica dedicata agli avvocati degli enti pubblici, l'art. 22.

E proprio nell’ottica del contenimento dei costi, preme sottolineare come le avvocature pubbliche costituiscano una fonte di ampi risparmi di denaro pubblico. Il particolare, oggi non va certo sottovalutato. Anzi, andrebbe coltivato e approfondito. Lo Presti anche in un recente Convegno sulla Pubblica Avvocatura svoltosi a Palermo, ha avuto modo di approfondire il tema. La necessità di dotarsi in Italia delle avvocature si inserisce nel momento storico successivo ai moti risorgimentali ed alla nascita del Regno d'Italia, e ciò sia per l'Avvocatura dello Stato, fondata nel 1876 con la denominazione di Regia Avvocatura Erariale, che per Avvocature municipali come Bologna, Roma e Napoli. In contemporanea con la disciplina della professione forense, nel 1933, appunto, l'Avvocatura erariale ha ricevuto la propria disciplina di ruolo, funzioni e struttura, mentre le altre avvocatura erariali locali non hanno ricevuto alcuna disciplina, restando ascritte a quel particolare interspazio esistente fra l'Avvocatura e il libero Foro, chiamato “eccezione all’incompatibilità”...

Eppure l'esigenza era quella, identica, di creare figure professionali esperte e settorializzate, dedicate alla conoscenza costante delle nuove tipologie di contenzioso nascenti dall’intensificazione legislativa. E qui il ragionamento dell’on. Nino Lo Presti: che senso ha avere tante avvocature erariali (parastato, regioni, enti locali, università, ex municipalizzate, società interamente pubbliche, stato)?. Forse, proprio prendendo le mosse dall'emergenza economica che stiamo vivendo, si potrebbe creare un mutamento sostanziale di direzione: a fianco dell'Avvocatura dello Stato potrebbe sorgere l'Avvocatura degli enti diversi dallo Stato, con la previsione anche per esse del foro erariale. La struttura, infatti, potrebbe anticipare e, in qualche modo, intersecarsi con la riforma che vuole la soppressione delle Province, creando "avvocature distrettuali" per sedi di Corte d'Appello ed "avvocatura generale" a Roma presso l'Avvocatura di Roma capitale.

La contrazione di costi sarebbe enorme: all'Avvocatura generale spetterebbe la rappresentanza e difesa delle amministrazioni pubbliche nei giudizi davanti alla Corte costituzionale, alla Corte di Cassazione, al Tribunale superiore delle acque pubbliche, alle altre supreme giurisdizioni, anche amministrative, ed ai collegi arbitrali con sede in Roma, nonché nei procedimenti innanzi a collegi internazionali o comunitari; mentre alle avvocature distrettuali spetterebbe la rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni nelle rispettive circoscrizioni.

Le funzioni resterebbero le stesse: contenziosa e consultiva, entrambe, negli ultimi decenni, sviluppate secondo un trend di crescita quantitativamente e quantitativamente esponenziale.

Le condizioni contrattuali e giuridiche rimarrebbero invariate, collocando gli avvocati in un’area di contrattazione separata ma in fasce corrispondenti a quelle rivestite. Il tutto, quindi, a costo zero e ampia resa, poiché vi sarebbero ingenti risparmi in costose consulenze assorbite secondo il meccanismo dell’in house.

L'Antitrust e ... la riforma della professione forense

Ho sempre pensato che la professione forense fosse una "missione", qualcosa di molto simile alla professione medica. Entrambe hanno la vita delle persone nelle proprie mani, entrambe non conoscono ferie, orari, distrazioni. Entrambe trovano un richiamo, più o meno esplicito, nella Costituzione: diritto alla salute per una, diritto di difesa per l'altra.
Da sempre programmo le ferie in funzione degli impegni professionalie non a prescindere, e, occupandomi di diritto amministrativo, sovente mi è capitato di rientrare per sospensive al TAR nel periodo estivo.
Come vice presidente dell'Unione Nazionale Avvocati degli Enti Pubblici sento un particolare orgoglio quando penso di rappresentare colleghi quali gli Aquilani,i  Modenesi, i Ferraresi, noi stessi di Bologna, che, all'indomani dei gravissimi sismi che hanno martoriato le nostre città, eravamo puntuali al lavoro sotto le tende per preparare le difese dei nostri Enti o eravamo innanzi ai giudici per rispettare le scadenze prefissate!
Con orgoglio immenso e commozione desidero che tutti sappiano che a Milano in quel terribile 18 aprile 2002, nel disastro aereo che colpì il Palazzo della Regione, chi rimase ucciso furono due colleghe avvocato della Regione, perchè oltre il loro orario contrattuale di lavorosi trovavano ancora al loro posto per terminare le difese della Regione Lombardia in giudizio.
Questi sono gli avvocati che rappresento. Questo è il nostro senso del dovere. Questa è la nostra professione.
E' bene conoscere queste cose per correttamente valutare. Altrimenti si parla del nulla.
Quando il "collega" Pitruzzella parla delle "specializzazioni" dà l'impressione di non avere ben chiaro ciò che dice. Noi dell'Avvocatura pubblica siamo un elemento specializzato, di "cerniera", fra i diversi protagonisti dell'azione amministrativa, dalla sua genesi al suo epilogo, seria e leale.
L'Avvocatura pubblica è la proiezione della professione forense più pura, è la modernizzazione della P.A. riappropriatasi del suo passato, ovvero delle motivazioni per le quali è "nata": il bisogno di assicurare all'ente pubblico lo stabile consiglio di uomini (...e donne) di legge, avvertito sin da epoca remota.
Passando, invece, al corpo intero dell'avvocatura, la "professione forense unita", di cui facciamo parte a pieno titolo votando per i Consigli, pagando il contributo annuale, soggiacendo al potere disciplinare ed all'obbligo di formazione, detiene un triste primato europeo: è l'unica ad avere la legge di disciplina del 1933, precedente alla Costituzione, precedente al fenomeno di massa delle immatricolazioni a Giurisprudenza, facoltà raccoglitore raccogliticcio, .....precedente a tutto!
Quando mai si è visto un avvocato che impara la professione senza calcare le aule di giustizia...ma quelle universitarie?
Come dire che un medico impara la chirurgia senza andare in sala operatoria!
Ma Pitruzzella, oltre ai numerosi incarichi politici di cui al suo curriculum, ha mai realmente svolto la professione forense?
Egli parla come "garante della concorrenza e del mercato". Leggendo il sito dell'AGCM questa è la definizione dell'attività: "L’Autorità garantisce il rispetto delle regole che vietano le intese anticoncorrenziali tra imprese, gli abusi di posizione dominante e le concentrazioni in grado di creare o rafforzare posizioni dominanti dannose per la concorrenza, con l’obiettivo di migliorare il benessere dei cittadini. Dal 2007 è stato affidato all’Antitrust il compito di tutelare i consumatori (e dal 2012 anche le microimprese) dalle pratiche commerciali scorrette delle imprese e dalla pubblicità ingannevole. Per garantire che il confronto sul mercato avvenga lealmente interviene anche contro la pubblicità comparativa che getta discredito sui prodotti dei concorrenti o confonde i consumatori. Dal 2012 è stata affidata all’Antitrust la tutela amministrativa contro le clausole vessatorie inserite nei contratti con i consumatori".
Ma di che parliamo? Del concessionario di auto? Dell'industria automobilistica? Della società che erogano gas, acqua, luce?
Il cliente dell'avvocato che mette la sua vita -economica, familiare, personale- nelle mani del professionista di fiducia, è un consumatore al pari dell'acquirente di un viaggio o di un'auto o di un etto di prosciutto?
E il tirocinio di cui parla Pitruzzella? Dubito che egli l'abbia mai realmente fatto!
Non ha importanza che duri 18 o 24 mesi. E' importante che formi con serietà.
E dove starebbe l' "ostacolo alla professione" di cui parla? L'accesso all'avvocatura italiana è talmente ostacolata da aver prodotto in pochi anni 260.000 avvocati, numero così....ostacolato, da aver creato ostacolo alla sopravvivenza, ostacolo al rispetto della deontologia..poiché è noto che se non si riesce a sopravvivere, si pensa agli espedienti per poterlo fare.
Ciò che manca alla professione forense è un vero ostacolo alla disoccupazione di migliaia di giovani avvocati. Questo, Pitruzzella, manca.
Quando ho iniziato l'università ho scelto di fare l'avvocato. Oggi buona parte di chi frequenta giurisprudenza non ha scelta, la subisce. Magari voleva fare l'architetto, o il medico, o il veterinario o lo psicologo, ecc.
Ecco la differenza fra una professione ordinata ed una disordinata. Ecco la differenza fra chi ha sceltop la passione e chi non ha passione per mancanza di scelta.
Per me, oggi, a distanza di anni, fare l'avvocato è un'emozione sempre nuova, a cui non mi abituo. Credo che chiunque scelga di essere un avvocato provi le mie stesse passioni, motivazioni.
Il giuramento che ho prestato tanti anni fa è stato un giuramento convinto, recitato con il "groppo" in gola, vissuto come una grande responsabilità condensata in una piccola frase.
Oggi come allora continuo a ripeterla a me stessa, "Giuro di adempiere ai miei doveri professionali con lealtà, onore e diligenza, per i fini della Giustizia e per gli interessi superiori della Nazione".
Io, ancora oggi e ancora una volta, sono qui, in agosto, a svolgere la mia funzione e, svolgendola per la Pubblica Amministrazione è una funzione ancora più intensa, perchè "al servizio della Nazione" al quadrato!

domenica 12 agosto 2012

ILVA, per stare in tema di crisi...e buoni esempi

Sorprende, e non poco, leggere su social network ed ascoltare nei TG, i nostri politici e membri del governo, esprimere cori di disappunto sulla decisione del GIP di Taranto in merito al destino dell'ILVA, dopo aver visto la situazione dell'emiciclo durante il dibattito.

Mi chiedo: perchè non hanno espresso tutto il loro disaccordo nel dibattito specifico in calendario alla Camera la scorsa settimana, invece di "essodarsi" dai lavori?









Il PIL non deve rovinarci la vita e la felicità...Deve rammentare che le spese vanno tagliate!

Antonella Trentini, TG RAI 3


"Il prodotto interno lordo non descrive la salute dei nostri bambini, la qualità della loro istruzione o la gioia dei loro momenti di svago. Non include la bellezza della nostra poesia o la forza dei nostri legami, l'intelligenza del nostro dibattito pubblico o l'integrità dei nostri pubblici ufficiali. Non misura nè la nostra arguzia, nè il nostro coraggio, nè la nostra saggezza o il nostro apprendimento, nè la nostra compassione o la nostra devozione al paese. Misura tutto, in breve, eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta. E ci può dire tutto (dell'America) eccetto il perchè siamo orgogliosi di essere (americani)".
(Bob Kennedy, 1968-da Il Fatto Quotidiano). 

Aver riletto questo brano di Robert Kennedy, pronunciato poco prima di essere assassinato al pari del piú noto fratello, da appassionata di storia, ed in particolare delle biografie dei grandi personaggi, mi ha procurato un enorme piacere ed una riflessione.
Il piacere è un sentimento e non va nè spiegato, nè argomentato.
La riflessione è invece la seguente.
I cicli della storia ci insegnano che le "crisi" economiche sono cicliche e, addirittura affondano le radici in epoche molto remote. Non è necessario ripercorrere le tappe della storia per "mappare" le crisi economiche piú gravi, è sufficiente osservare che ogni crisi, dal Medioevo ad oggi, porta con sè risvolti sociali non misurabili con strumenti economici, come appunto il PIL...
Ció che colpisce sono infatti gli effetti sulle persone, poichè ogni crisi, in ogni epoca storica, accentua gli squilibri sociali, i quali sono determinanti nella vita delle persone.
Per un padre di famiglia perdere il lavoro puó essere un fattore destabilizzante che, come già si è verificato in molte occasioni, puó portare a suicidi, a gesti estremi, che non possono lasciare indifferenti.
La politica e la società stessa -i ricchi, i finanzieri, i grandi capitalisti che nelle crisi vedono aumentare le loro risorse esponenzialmente- dovrebbero fare massa critica. Il principio è quello della famiglia: se qualcuno ha bisogno, gli altri aiutano.
I politici dovrebbero, a mio parere, dare esempi virtuosi reali, non solo per proclami: i messaggi dovrebbero essere positivi, mai negativi, non serve a nulla diffondere pessimismo se non ad acuire situazioni di depressione.
Serve invece cercare di ripristinare condizioni di vivibilità, utilizzare le risorse per aiutare con micro credito le famiglie, chi ha perso il lavoro, chi ha intrapreso ed è in difficoltà. Serve abbattere i costi dell'apparato istituzionale, non invece aumentare le tasse per continuare a mantenerlo "pesante". 
La spending review seria può ristabilire la fiducia nelle persone. L'equazione è semplice: se in una famiglia non ci sono soldi, si tagliano tutte le spese superflue, si mantengono quelle necessarie e si cerca il sistema di incrementare le entrate, ad esempio vendendo beni.
Tradotto: Stato, regioni, comuni, province, enti, authority, ecc., non hanno soldi e, invece di tagliare le spese lasciando inalterato (il più possibile) il potere di spesa dei singoli, mantengono le spese piú o meno inalterate, non vendono nulla e affamano le persone rendendole, quindi, psicologicamente deboli, infelici e prive di risorse.
Io credo che si debba fare il contrario.
Nei momenti di crisi si debba far leva sui valori delle persone, valori personali e valori lavorativi. Si debba tagliare tutto, ma veramente tutto, ció che è superfluo, dalle scorte a chi non ha bisogno, alle auto blu, ai rimborsi taxi ai politici che risiedono nei luoghi di "lavoro", alle consulenze (che mortificano i lavoratori, oltre a costare cifre esose), ecc. Penso che si debba valorizzare il patrimonio pubblico inutilizzato, in luogo di mantenerlo fatiscente e improduttivo, penso si debbano eliminare doppi/tripli incarichi a chiunque, penso si debbano eliminare senza compromessi e ripensamenti gli enti intermedi, le poltrone delle istituzioni restanti.
Penso, poi, che -in controtendenza con le recenti proposte- l'età per entrare in Parlamento non debba affatto essere abbassata creando nuovi e giovani politici di professione, bensí penso si dovrebbe prevedere che possa essere candidato solo chi ha lavorato almeno 10 anni comprovati, si possano fare "due giri" e nessun altro incarico in politica per almeno 5 anni, durante i quali un soggetto torna al proprio lavoro. È l'unico modo per capire la gente, per rimanere ancorati alla gioia, al dolore, alle difficoltà quotidiane, alla spesa, alla fila in posta.
Chiedo scusa, ma questo sistema eliminerebbe anche il malaffare, poichè nessuno avrebbe nelle proprie mani un potere duraturo e, come tale, negoziabile.

Sulle consulenze vorrei approfondire.
Nel mio settore d'attività sono estremamente diffuse. Le cause sono principalmente che solo lo Stato ha un'Avvocatura regolamentata per legge, con competenze chiare e definite. Lo Stato non puó affidare incarichi di difesa o pareri legali ad altri che non siano i propri avvocati, con ció contraendo le spese in maniera determinante.
Cosí non è, ad esempio, per gli enti locali, i quali sono oltre 8.000 e pochi hanno avvocature. Anche quei pochi che possono contare su avvocature decidono come vogliono in tema di incarichi legali, con la conseguenza che le spese si moltiplicano. 
Basterebbe veramente poco per regolare questi professionisti della legalità della pubblica amministrazione diversa dallo Stato, per eliminare costosissime consulenze su migliaia di amministrazioni pubbliche, basterebbe mutuare le regole già esistenti per l'Avvocatura di stato, organizzando le avvocature degli enti diversi dallo Stato in distretti di Corte d'Appello, con foro obbligatorio e, foro generale, presso l'Avvocatura della Capitale.
Come dicevano i tre saggi nominati dall'allora presidente della Camera Luciano Violante, i professori Cassese, Pizzorno e Arcidiacono, "la debolezza della P.A. consiste nel non avere un corpo professionalizzato di legali interni", sentinelle di legalità e custodi della buona amministrazione.
È un orgoglio evidenziare come mai, nessun avvocato dipendente sia mai stato coinvolto in affari illeciti, in tangenti o altre ipotesi correttive, come invece troppo spesso è accaduto per altre figure professionali.
Sicuramente da una efficace organizzazione su base nazionale della pubblica avvocatura ne deriverebbe, oltre all'efficienza della difesa pubblica, una contrazione di costi di almeno 1,5-2 punti di PIL.
Che non misurerà la felicita ed i valori di un popolo, ma deve rammentare che le spese vanno tagliate realmente, non solo verbalmente, e deve ricordare che proprio le crisi, nella storia, sono stati i migliori volani per migliorare il futuro, correggendo gli errori del passato.

sabato 11 agosto 2012

Rimborso spese di iscrizione all'Elenco speciale avvocati:  La Corte dei Conti a Sezioni Riunite ricompone … le fonti del diritto

                                   


All'inizio dello scorso anno già avevo avuto modo di riflettere sull'argomento, a seguito di alcuni pareri della Corte dei Conti (Corte Conti, sez. reg. contr., Piemonte, n. 2 del 29/3/07; Corte Conti, sez. reg. contr., Emilia-Romagna, n. 10 del 28/4/2009), che negavano il diritto al rimborso della spesa di iscrizione annuale all'Elenco Speciale degli avvocati dipendenti (cfr. A. Trentini, Le Avvocature pubbliche fra questioni nuove e nodi irrisolti. -Sottotitolo: il valore delle fonti, la Cassazione e la Corte dei Conti, in Riv. Trim. Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, n. 1, 2010, pag. 179 ss.).

La vexata quaestio nasceva dal fatto che, pur esistendo un consolidato orientamento giurisprudenziale che vedeva nella Corte Suprema di Cassazione il baluardo nomofilattico, le amministrazioni pubbliche avevano colto immediatamente l'occasione offerta dai pareri anzidetti, per  interrompere i rimborsi ai propri dipendenti avvocati, dando così vita a numerosi (e costosi) contenziosi da parte dei lavoratori, al solo fine di vedere affermato un elementare diritto: quello di ricevere dal datore di lavoro le risorse necessarie per l'espletamento del sinallagma lavorativo dallo stesso richiesto.

Ad un anno esatto di distanza dalla predetta pubblicazione, dapprima il Tribunale del Lavoro di Treviso (sentenza n. 563 del 26/11/2010), poi le Sezioni Riunite della Corte dei Conti (delib. 1/CONTR/11 del 13/1/2011) ed infine il Tribunale del Lavoro di Potenza (sentenza 152 del 25/1/2011), hanno affermato con chiarezza e, si spera, definitività, che tale rimborso è dovuto al lavoratore che ha anticipato la somma.

La motivazione delle sentenze con cui i giudici del lavoro hanno accolto le ragioni dei dipendenti avvocati, condannando le amministrazioni a restituire le anticipazioni, maggiorate di interessi e spese di soccombenza, risiede nel fatto che il rimborso non rappresenta una somma di denaro avente natura retributiva, poiché non è diretto a remunerare la prestazione resa dal dipendente-avvocato, ma è fisiologicamente finalizzato al reintegro del patrimonio del lavoratore inciso dall'anticipazione di una spesa strumentale all'esecuzione del lavoro affidatogli dal proprio datore di lavoro.

La Suprema Corte di Cassazione ha espresso un chiarissimo principio, da cui i Tribunali citati non si sono discostati: tutto ciò che è necessario al dipendente per espletare la propria attività nell'esclusivo interesse del datore di lavoro è a carico di quest'ultimo. 

Ed invero, basta qui considerare che la professione forense dipendente da pubbliche amministrazioni è la sola fra tutte le professioni ad avere un vincolo assoluto di esclusività, non rinvenibile in nessun'altra categoria professionale, per comprendere che il suddetto principio non possa essere messo in discussione. L'iscrizione all'elenco speciale annesso all'albo degli avvocati è un requisito essenziale per poter esercitare lo jus postulandi che il datore di lavoro esige dal proprio dipendente, cui siano conferite le mansioni esigibili di tutela giudiziale dell'ente.

In tale contesto merita un plauso particolare la Corte dei Conti, nella propria composizione a Sezioni Riunite, poiché con la deliberazione del 13 gennaio 2011 ha posto un fermo ai pareri "suicida" emessi dalle proprie sezioni regionali, che tanto ruolo hanno avuto nel far condannare le amministrazioni pubbliche a spese inutili di soccombenza. 

Con la deliberazione in esame, le Sezioni Riunite hanno concluso nell'unico maniera possibile utilizzando il buon senso, prima ancora del diritto: la questione concernente l'individuazione del soggetto sul quale devono gravare le spese per l'iscrizione annuale all'elenco speciale, è inammissibile per carenza delle caratteristiche necessarie affinché possa esprimersi la competenza della Corte dei Conti.

Finalmente l'organo supremo della Corte dei Conti ha rammentato alle sue articolazioni che la materia non rientra nel concetto di contabilità pubblica esprimersi in merito a questioni involgenti profili di stretta interpretazione normativa.

Può darsi che, con altrettanto buon senso, la Corte si accorga che fra queste rientra invece ogni spesa sostenuta per negare l'evidenza.



Addì, 26 aprile 2011  
Il Vice Presidente 

           




Perché è sbagliato sopprimere l'Ordine: ve lo spiegano gli avvocati …"fuori casta"

Il Vice Presidente


Perché è sbagliato sopprimere l'Ordine: ve lo spiegano gli avvocati …"fuori casta".

L'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici, rappresentativo di circa 6.000 avvocati dipendenti, desidera svolgere le seguenti brevi considerazioni, sull'errore di fondo che avvolge di facile demagogia un argomento molto più complesso: la soppressione di alcuni Ordini, fra i quali quello forense.

Riteniamo di aver titolo per intervenire nel dibattito in quanto professionisti "fuori lobby" e "fuori casta", ma avvocati fieri di esserlo.

Sul Corriere della Sera di ieri due interventi in particolare hanno suscitato sgomento nella scrivente Associazione: quello del Sottosegretario On. Catone e quello dell'On. Di Pietro.

L'On. Catone è da perdonare poiché, avendo tutt'altra formazione, evidentemente non conosce l'argomento sul quale ha scomodato persino Almirante, omettendo di precisare che Almirante pronunciò quell'affermazione ("è giusto e logico che le corporazioni tutelino se stesse"), rivolta alla lottizzazione del potere, non certo ad una categoria professionale. D'altra parte la sua brevissima permanenza nel FLI non è stata sufficiente a consentire una conoscenza approfondita dell'ampia oratoria di Almirante.

 Lascia, invece, estremamente sorpresi l'affermazione dell'on. Di Pietro, ex magistrato ed ora collega, il quale ha accusato "la casta di anteporre i propri interessi a quelli dei cittadini".

Egli dovrebbe, infatti, ben sapere cosa significa concretamente abolire l'Ordine forense, attese le funzioni proprie di vigilanza e controllo sui professionisti iscritti a garanzia dei cittadini e non contro i cittadini. Anzi, dovrebbe esserne esperto, dato che di tale vigilanza e controllo egli ne è stato soggetto direttamente interessato, come le cronache hanno diffusamente informato.

Lo stesso Filippo Facci, quest'oggi, nel proprio articolo, incorre in un ossimoro paradossale: nel cercare di contestare la reazione suscitata nel CNF, OUA, avvocati-parlamentari, dalla norma che voleva abolire l'Ordine forense, egli rammenta (qui sta la contraddizione) "che in Italia ci sono 230.000 avvocati quando in Francia sono 48.000". Aggiungiamo noi che mentre in Italia ci sono oltre 120.000 cassazionisti, in Francia sono in tutto un'ottantina.

Abolire l'Ordine forense avrebbe l'effetto diametralmente opposto di ciò che il bravissimo Facci sostiene: non migliorerebbe l'odierno "sfascio della giustizia", lo peggiorerebbe ancora di più!

Non agevolerebbe l'inserimento de "l'esercito di ragazzini affamati", ma li illuderebbe ancora di più dell'esistenza di un locus amnus … inesistente o quantomeno affollatissimo!

Come sostiene l'On. Lo Presti, che da conoscitore profondo delle "professioni" prima ancora che avvocato, parla sapendo cosa dice, ciò "sarebbe devastante". Perché, in assenza di vigilanza e controllo, significherebbe immettere migliaia e migliaia di nuovi "avvocati" in un settore professionale già saturo. E non ci si riferisce solo ai nuovi professionisti (quelli cioè che escono dall'Università ad accesso libero e raccogliticcio di tutti coloro che non superano i tests d'ingresso nelle facoltà a numero chiuso), ma anche alle migliaia di pubblici dipendenti che, in possesso del titolo, non possono oggi esercitare la professione, neppure se posti in part-time, se non incardinati presso un'Avvocatura pubblica in maniera stabile e continuativa, per espressa previsione normativa (art. 3, L.P. 1578/1933).

La quantità spesso contrasta con la qualità.

Si rammenta, infine, che la professione forense è implicitamente prevista dalla Costituzione (art. 24, Cost.), e dunque deve essere esercitata con requisiti di moralità, correttezza, serietà e preparazione ineccepibili. Qualità, queste, il cui rispetto viene oggi garantito ai cittadini dalle irrinunciabili funzioni svolte dagli Ordini forensi.

Per concludere, invece di perdere tempo in sterili polemiche su "muri trasversali", "trincee" o impropri paralleli con Bisignani, si pensi piuttosto a scandalizzarsi per l'ingiustificato "fermo" del d.d.l. di riforma della professione forense, il quale -dopo l'approvazione al Senato nel novembre dello scorso anno- è ancora fermo nei cassetti della Commissione Giustizia della Camera; si pensi a proporre una seria riforma per introdurre una "barriera" a monte dell'iscrizione "di più di quarantamila a giurisprudenza", si facciano le riforme della giustizia promesse.

Dopo anche l'abolizione degli Ordini potrebbe avere un significato.

Addì, 15.7.2011

CNF 3/8/2012 Riforma forense, la presidente della commissione Giustizia della Camera Bongiorno a La Stampa: L’indipendenza degli avvocati è sacra.

Riforma forense, la presidente della commissione Giustizia della Camera Bongiorno a La Stampa: L’indipendenza degli avvocati è sacra.


Una rinnovata richiesta al Governo di dare il via libera alla deliberante per approvare entro i primi di settembre la riforma forense. Senza la quale l’ordinamento rischia un vuoto normativo e tanta incertezza. L’ha avanzata la presidente della commissione giustizia della Camera Giulia Bongiorno che, in una intervista rilasciata a La Stampa, ha sottolineato l’importanza di salvaguardare per il bene del Paese l’ indipendenza dell’avvocatura.