Il 3 dicembre 2013 su questo Blog avevamo dato atto della sentenza del TAR Lazio, Roma, I, n. 9941 del 21 novembre 2013, in cui erano affermati principi di elevatissimo spessore sulle avvocature interne degli enti (in specie l'avvocatura civica del comune di Reggio Calabria, disciolto per infiltrazioni mafiose, proprio con riguardo agli incarichi ad avvocati esterni in presenza di una avvocatura interna).
Oggi il tema è ritornato attuale, poichè - in seguito all'appello proposto dal Comune interessato - il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza n. 1796 dell'11 aprile 2014, ha confermato la sentenza del TAR Lazio.
I principi in essa contenuti, dunque, sono scolpiti nel marmo!
Marmorei, pertanto, sono oggi i seguenti principi: l'Ente pubblico, tramite la propria avvocatura interna, ha la possibilità di essere impermeabile all'influenza ed al condizionamento della criminalità. Tramite la propria avvocatura interna ha la possibilità di effettuare consistenti risparmi di spesa, per servizi altrimenti reperibili all'esterno con aggravio di costi per i pubblici bilanci.
Questo si diceva il 3 dicembre scorso:
(tratto dal Blog del 3.12.2013)
"I principi sull'Avvocatura.
Preliminarmente il TAR riporta una parte della Relazione dei Saggi anzidetta: "il rimedio (dello scioglimento) è predisposto anche nell'evidente consapevolezza della scarsa percepibilità delle varie concrete forme di connessione o di contiguità-e dunque di condizionamento-fra organizzazioni criminali e sfera pubblica, e della necessità di evitare con immediatezza che l'amministrazione dell'ente locale rimanga permeabile all'influenza della criminalità organizzata".
Ciò premesso, viene dato atto come la commissione prefettizia di indagine aveva segnalato a carico dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria emblematiche criticità in vari settori (lavori pubblici, contrattuale, attività produttive, patrimonio, sociale), fra cui il settore Avvocatura.
In particolare, nel settore Avvocatura Civica, è stato riscontrato come l'Ufficio di Gabinetto del Sindaco provvedesse ad affidare incarichi legali riguardanti cause di rilevante valore a un avvocato esterno (che per combinazione era la compagna di un assessore comunale dimessosi a seguito di inchiesta giudiziaria proprio per questioni di mafia). Continua sul punto specifico la relazione prefettizia, affermando con meridiana chiarezza che “L’omessa attivazione di meccanismi di difesa preventiva in settori nevralgici … ha reso il Comune decisamente permeabile a condizionamenti esterni”, quella permeabilità che l'Avvocatura interna quotidianamente presidia!
Ed infatti, sia dalla Commissione prefettizia che dal TAR, viene ritenuto un "passaggio saliente della proposta" di scioglimento del Consiglio Comunale, "la questione relativa alla mancata costituzione dell'Avvocatura civica, nonostante una delibera del 2003 ne prevedesse l'istituzione e all'interno dell'apparato burocratico vi sia un congruo numero di avvocati, cui è conseguito l’affidamento degli incarichi di rappresentanza legale a professionisti esterni. Tra essi, numerosi incarichi professionali, anche per cause di importo considerevole (...)" risultavano essere stati affidati a fidanzate, amici, figli di boss riconducibili a cosche criminali, ecc.
Soltanto a seguito della grave situazione rilevata dalla Commissione d'indagine prefettizia, nel mese di aprile 2012, vale a dire dopo quasi un decennio dall'atto deliberativo, l'amministrazione comunale ha regolamentato il funzionamento dell'Avvocatura civica, ancorchè il sindaco, nelle more dell'emanazione dei provvedimenti organizzativi del settore, si sia mantenuto libero di nominare sua sponte i professionisti esterni".
RESTA DA CAPIRE SE L'ODIERNA "SVOLTA BUONA" DI RENZIANA MEMORIA DESIDERA IMPERMEABILIZZARE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, CON LA MAGGIOR RESA, AI MINORI COSTI.
CHI DOVESSE SPENDERE DENARO PROPRIO, LO FAREBBE!
LA PALLA A TE RENZI.....
GIOCALA BENE, E NOI CI SIAMO!
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Massima Cons. Stato, III, sent. n. 1796/14
La modifica introdotta all’art. 143 t.u.e.l. non fa recedere la ratio sottesa alla disposizione di offrire uno strumento di tutela avanzata in particolari situazioni ambientali nei confronti del controllo ed dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all'area propria dell'intervento penalistico o preventivo. Ciò nell'evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connessione o di contiguità – e dunque di condizionamento – fra organizzazioni criminali e sfera pubblica, e della necessità di evitare con immediatezza che l'amministrazione dell'ente locale rimanga permeabile all'influenza della criminalità organizzata. Resta, quindi, ferma la connotazione dell’ istituto nel vigente sistema normativo quale «misura di carattere straordinario» per fronteggiare "una emergenza straordinaria" (in termini, Corte cost. n. 103 del 19.3.1993, nell'escludere profili di incostituzionalità del previgente art. 15-bis della legge 19.3.1990, n. 55). Il testo novellato dell’art. 143 t.u.e.l. introduce la misura amministrativa di prevenzione che, pur non caratterizzandosi come sanzionatoria verso soggetti determinati, viene ad incidere sul consenso espresso dalla comunità locale nella scelta degli organi di essa rappresentativi. A sostegno della misura non è quindi sufficiente un mero quadro indiziario fondato su “semplici elementi”, in base ai quali sia solo plausibile il potenziale collegamento o l’influenza dei sodalizi criminali verso gli amministratori comunali , con condizionamento delle loro scelte e ricaduta sul buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, sul regolare funzionamento dei servizi e sulle stesse condizioni di sicurezza pubblica, dovendo detti elementi caratterizzarsi per concretezza, essere cioè assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; univocità, che sta a significare la loro direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; rilevanza, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale” (Cons. Stato, sez. III, 12.1.2013, n. 126).
2. Deve ritenersi legittimo il decreto di scioglimento del consiglio comunale fondato su numerosi accertamenti eseguiti dagli organi di polizia e sul monitoraggio dell’attività dell’ente in considerazione del contesto ambientale e di numerose vicende indicative di infiltramento mafioso, che hanno messo in luce una fitta trama di relazioni e frequentazioni equivoche, nonché una gestione politico-amministrativa poco trasparente dell’ente. Dalla ricostruzione effettuata dall’amministrazione preposta alle verifiche in questione emerge un contesto generale di diffusa illegalità, ove la criminalità organizzata esercita la propria influenza sugli organi elettivi del comune, con conseguente pregiudizio alla capacità di gestione e al buon funzionamento dell’ente. Nel valutare la legittimità del provvedi mento, la proposta di scioglimento non può essere scomposta in singoli atti per coglierne la scarsa rilevanza del singolo fatto contestato. I fatti devono essere infatti letti nella loro correlazione e nella capacità del loro insieme di denotare fenomeni di condizionamento ed infiltrazione criminale. Così seppure una meticolosa analisi dei dati posti alla base dello scioglimento del comune possa far emergere che alcuni fra gli innumerevoli elementi riportati sono approssimativi o poco rilevanti, il provvedimento di scioglimento nel suo complesso rispetta i requisiti previsti dalla legge e accerta un livello di infiltrazione criminale inaccettabile. Né d’altra parte può ritenersi che il provvedimento di scioglimento sia inficiato dalla mancata indicazione dei “provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti pi&ugr ave; gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico”. Proprio la richiamata ratio dell’istituto che è teso ad “offrire uno strumento di tutela avanzata in particolari situazioni ambientali nei confronti del controllo ed dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali” impedisce di ritenere che il rispetto di tale prescrizione costituisca condizione di validità del provvedimento e non piuttosto mera irregolarità non invalidante.
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