mercoledì 26 febbraio 2014

Lex ad minchiam...si vis pacem, para culum....

E' davvero calzante con la situazione della Pubblica Avvocatura il "latinismo" della sottoriportata vignetta satirica: SI VIS PACEM, PARA CULUM...Lex ad minchiam 

Infatti, spesso vengono approvati regolamenti (..lex ad minchiam ..locali) nel più totale menefreghismo delle norme vigenti (cfr. legge forense), e della giurisprudenza costante.





Per questo motivo, spesso i professionisti dipendenti sono costretti, per far "pace" (si vis pacem), a para culum .... proponendo ricorso.







E' questo il caso sottoposto al TAR CAMPANIA, che con una bella sentenza del 21 febbraio 2014, n. 1144, ha scritto i "9 Comandmenti":

"1. L’art. 3, 4° comma, lett. b, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, prevedendo che sono iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo degli avvocati "gli avvocati [ed i procuratori] degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui allo stesso secondo comma, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera", esige che presso l'ente pubblico esista un ufficio legale costituente un'unità organica autonoma e che i soggetti addetti alla stessa esercitino le funzioni di competenza con modalità che assicurino libertà ed autonomia dell'attività di difesa, con sostanziale estraneità all'apparato amministrativo, in posizione di indipendenza da tutti i settori previsti in organico e con esclusione di ogni attività di gestione;
2. nell'ambito dell’assetto organizzativo di un ente pubblico, l’ufficio legale si connota come una struttura che si differenzia da ogni altro centro operativo e postula una diretta connessione unicamente con il vertice decisionale dell'ente stesso, al di fuori, quindi, di ogni altra intermediazione;
3. E’ legittima la delibera con la quale un Comune ha approvato un nuovo regolamento degli uffici e dei servizi, nella parte in cui configura l’avvocatura comunale in forma di staff, "con diretta connessione unicamente con il vertice decisionale dell’ente stesso", prevedendo che "la responsabilità del Servizio Avvocatura è conferita dal Sindaco con proprio decreto"; tale norma regolamentare non appare contrastante con l’autonomia che va assicurata agli uffici legali degli enti pubblici, mirando anzi ad evitare ogni altra intermediazione di dirigenti di Area o di altre figure organizzative che possa ledere l’indipendenza della struttura;
4. Non è lesiva delle garanzie di indipendenza che vanno assicurate all’avvocatura comunale una norma del regolamento degli uffici e dei servizi che assegna all’ufficio legale le attività concernenti la verifica di congruità delle note di spesa e delle parcelle presentate dagli avvocati esterni ai fini della liquidazione delle competenze loro spettanti in esito allo svolgimento degli incarichi professionali. Vero è che devono reputarsi di regola esclusi dalle attribuzioni dell’avvocato di un ente pubblico compiti meramente amministrativi e gestionali, ma l’affidamento dei predetti compiti di verifica è compatibile con il peculiare status del legale dell’ente, sia per la natura strumentale rispetto all’attività di difesa in senso stretto dell’Amministrazione, sia perché postula specifiche cognizioni proprie dell’attività professionale di consulenza tecnico-giuridica sia, soprattutto, perché non implica alcuna soggezione gerarchica rispetto ad altri soggetti dell’apparato burocratico;
5. è illegittima per difetto di istruttoria e motivazione una delibera che prevede, per l’ufficio legale del Comune, una dotazione organica (nella specie composta da un funzionario avvocato D3, da un istruttore C ed un applicato B) manifestamente insufficiente in relazione a quanto riconosciuto dallo stesso Comune con una coeva deliberazione che consente la stipula di convenzioni esterne per il patrocinio e l’assistenza in giudizio dell’ente "quando i carichi di lavoro non consentano la rappresentanza e la difesa diretta da parte del Servizio Legale, stante la rilevata insufficienza della dotazione organica […]". In tal caso, infatti, per sua stessa ammissione, l’autorità amministrativa ha dapprima costituito il servizio avvocatura assegnandovi consapevolmente una dotazione di risorse umane reputata inadeguata - senza peraltro dimostrare di aver compiuto una congrua istruttoria sui carichi di lavoro e sul fabbisogno in rapporto alle risorse umane disponibili ed omettendo qualsivoglia motivazione sul punto - ed ha successivamente ampliato la possibilità di avvalersi di consulenti esterni alla struttura legale proprio per porre rimedio alla evidenziata, ma non risolta, lacuna organizzativa e senza alcuna ponderazione dei costi conseguenti alle complessive scelte operate;
6. è illegittima una norma del regolamento  degli uffici e dei servizi di un Comune la quale prevede che: "L’avvocatura può formulare al Sindaco la proposta di nominare periti di parte, sia interni che esterni all’amministrazione, sia in fase giudiziale che stragiudiziale, qualora se ne ravvisi la necessità o l’opportunità […]. Nel caso in cui i tempi per selezionare il perito esterno non dovessero essere compatibili con la necessità di disporre in tempi stretti della prestazione peritale, l’Avvocato del Comune può suggerire al Sindaco che nominerà d’urgenza un perito intuitu personae"; invero, la limitazione del ruolo dell’avvocatura circa la nomina di periti ad una mera proposta o suggerimento al Sindaco, svilisce illegittimamente la sfera di valutazione tecnica da reputarsi riservata all’autonomo giudizio del professionista nell’esercizio dell’attività di difesa dell’ente pubblico;
7. è illegittima una norma del regolamento  degli uffici e dei servizi di un Comune la quale prevede un "tetto massimo" (nella specie non superiore al 50% della retribuzione tabellare posseduta in godimento al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento) nella corresponsione dei compensi professionali agli avvocati dell'ufficio legale; tale norma non trova fondamento né nei principi di cui al r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, né nel C.C.N.L. di riferimento e per di più sconfina in materia riservata alla contrattazione integrativa decentrata ed in particolare contrasta con l’art. 27 del C.C.N.L. integrativo del comparto regioni ed enti locali del 14 settembre 2000 (il quale dispone che "Gli enti locali provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’Ente, secondo i principi di cui al R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all’art. 10 del C.C.N.L. del 31.03.1999"); infatti, alla stregua di quest’ultima disposizione, la previsione di eventuali limiti ai compensi professionali dell’avvocato pubblico - al quale comunque deve essere "assicurato un trattamento adeguato alla funzione professionale svolta", ai sensi dell’art. 23 della L. n. 247 del 21 dicembre 2012 - può trovare la sua sede solo nell’ambito della contrattazione decentrata attraverso il necessario raccordo con la disciplina della retribuzione di risultato;
8. alla stregua dell’art. 7 del d.lgs. 165/2001, l’utilizzo di professionalità esterne da parte delle PP.AA., nei casi tassativi stabiliti al comma 6 dello stesso articolo, assume carattere eccezionale rispetto al principio generale secondo cui le Amministrazioni devono provvedere allo svolgimento dei compiti loro affidati attraverso il personale e le strutture organizzative di cui dispongono, anche in considerazione del conseguente esborso di denaro pubblico;
9. è illegittima una norma del regolamento  degli uffici e dei servizi di un Comune nella parte in cui prevede che al Sindaco è consentito affidare incarichi professionali esterni "in casi di particolare specificità e/o complessità valutata dal Sindaco, sentita l’avvocatura", prevedendo un’ulteriore ipotesi derogatoria, che per la sua genericità e vaghezza ("in casi di particolare specificità e/o complessità") e per essere rimessa all’apprezzamento dell’organo politico ("valutata dal Sindaco, sentita l’avvocatura"), pone l’Avvocatura municipale in posizione di soggezione rispetto al Sindaco, consentendo sostanzialmente a quest’ultimo di delimitarne ad libitum la generale sfera di operatività e di svuotarne così le funzioni".


QUESTA LA MASSIMA:

TAR CAMPANIA - NAPOLI, SEZ. I - sentenza 21 febbraio 2014 n. 1144

E’ illegittima una norma del regolamento degli uffici e dei servizi di un Comune la quale prevede un "tetto massimo" (nella specie non superiore al 50% della retribuzione tabellare posseduta in godimento al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento) nella corresponsione dei compensi professionali agli avvocati dell'ufficio legale; tale norma non trova fondamento né nei principi di cui al r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, né nel C.C.N.L. di riferimento e per di più sconfina in materia riservata alla contrattazione integrativa decentrata ed in particolare contrasta con l’art. 27 del C.C.N.L. integrativo del comparto regioni ed enti locali del 14 settembre 2000 (il quale dispone che "Gli enti locali provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’Ente, secondo i principi di cui al R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all’art. 10 del C.C.N.L. del 31.03.1999"); infatti, alla stregua di quest’ultima disposizione, la previsione di eventuali limiti ai compensi professionali dell’avvocato pubblico - al quale comunque deve essere "assicurato un trattamento adeguato alla funzione professionale svolta", ai sensi dell’art. 23 della L. n. 247 del 21 dicembre 2012 - può trovare la sua sede solo nell’ambito della contrattazione decentrata attraverso il necessario raccordo con la disciplina della retribuzione di risultato.


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