venerdì 28 febbraio 2014

ANCI condivide l'orientamento UNAEP su Legge Stabilità e onorari avvocati



L'obiettivo va perseguito, con tenacia e costanza, studiando e approfondendo!

Solo così ci si rende interlocutori credibili.

L'improvvisazione, cari Colleghi, non da mai i frutti attesi.

...ogni riferimento a fatti e persone iscritte (non) è puramente casuale.......



mercoledì 26 febbraio 2014

Lex ad minchiam...si vis pacem, para culum....

E' davvero calzante con la situazione della Pubblica Avvocatura il "latinismo" della sottoriportata vignetta satirica: SI VIS PACEM, PARA CULUM...Lex ad minchiam 

Infatti, spesso vengono approvati regolamenti (..lex ad minchiam ..locali) nel più totale menefreghismo delle norme vigenti (cfr. legge forense), e della giurisprudenza costante.





Per questo motivo, spesso i professionisti dipendenti sono costretti, per far "pace" (si vis pacem), a para culum .... proponendo ricorso.







E' questo il caso sottoposto al TAR CAMPANIA, che con una bella sentenza del 21 febbraio 2014, n. 1144, ha scritto i "9 Comandmenti":

"1. L’art. 3, 4° comma, lett. b, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, prevedendo che sono iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo degli avvocati "gli avvocati [ed i procuratori] degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui allo stesso secondo comma, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera", esige che presso l'ente pubblico esista un ufficio legale costituente un'unità organica autonoma e che i soggetti addetti alla stessa esercitino le funzioni di competenza con modalità che assicurino libertà ed autonomia dell'attività di difesa, con sostanziale estraneità all'apparato amministrativo, in posizione di indipendenza da tutti i settori previsti in organico e con esclusione di ogni attività di gestione;
2. nell'ambito dell’assetto organizzativo di un ente pubblico, l’ufficio legale si connota come una struttura che si differenzia da ogni altro centro operativo e postula una diretta connessione unicamente con il vertice decisionale dell'ente stesso, al di fuori, quindi, di ogni altra intermediazione;
3. E’ legittima la delibera con la quale un Comune ha approvato un nuovo regolamento degli uffici e dei servizi, nella parte in cui configura l’avvocatura comunale in forma di staff, "con diretta connessione unicamente con il vertice decisionale dell’ente stesso", prevedendo che "la responsabilità del Servizio Avvocatura è conferita dal Sindaco con proprio decreto"; tale norma regolamentare non appare contrastante con l’autonomia che va assicurata agli uffici legali degli enti pubblici, mirando anzi ad evitare ogni altra intermediazione di dirigenti di Area o di altre figure organizzative che possa ledere l’indipendenza della struttura;
4. Non è lesiva delle garanzie di indipendenza che vanno assicurate all’avvocatura comunale una norma del regolamento degli uffici e dei servizi che assegna all’ufficio legale le attività concernenti la verifica di congruità delle note di spesa e delle parcelle presentate dagli avvocati esterni ai fini della liquidazione delle competenze loro spettanti in esito allo svolgimento degli incarichi professionali. Vero è che devono reputarsi di regola esclusi dalle attribuzioni dell’avvocato di un ente pubblico compiti meramente amministrativi e gestionali, ma l’affidamento dei predetti compiti di verifica è compatibile con il peculiare status del legale dell’ente, sia per la natura strumentale rispetto all’attività di difesa in senso stretto dell’Amministrazione, sia perché postula specifiche cognizioni proprie dell’attività professionale di consulenza tecnico-giuridica sia, soprattutto, perché non implica alcuna soggezione gerarchica rispetto ad altri soggetti dell’apparato burocratico;
5. è illegittima per difetto di istruttoria e motivazione una delibera che prevede, per l’ufficio legale del Comune, una dotazione organica (nella specie composta da un funzionario avvocato D3, da un istruttore C ed un applicato B) manifestamente insufficiente in relazione a quanto riconosciuto dallo stesso Comune con una coeva deliberazione che consente la stipula di convenzioni esterne per il patrocinio e l’assistenza in giudizio dell’ente "quando i carichi di lavoro non consentano la rappresentanza e la difesa diretta da parte del Servizio Legale, stante la rilevata insufficienza della dotazione organica […]". In tal caso, infatti, per sua stessa ammissione, l’autorità amministrativa ha dapprima costituito il servizio avvocatura assegnandovi consapevolmente una dotazione di risorse umane reputata inadeguata - senza peraltro dimostrare di aver compiuto una congrua istruttoria sui carichi di lavoro e sul fabbisogno in rapporto alle risorse umane disponibili ed omettendo qualsivoglia motivazione sul punto - ed ha successivamente ampliato la possibilità di avvalersi di consulenti esterni alla struttura legale proprio per porre rimedio alla evidenziata, ma non risolta, lacuna organizzativa e senza alcuna ponderazione dei costi conseguenti alle complessive scelte operate;
6. è illegittima una norma del regolamento  degli uffici e dei servizi di un Comune la quale prevede che: "L’avvocatura può formulare al Sindaco la proposta di nominare periti di parte, sia interni che esterni all’amministrazione, sia in fase giudiziale che stragiudiziale, qualora se ne ravvisi la necessità o l’opportunità […]. Nel caso in cui i tempi per selezionare il perito esterno non dovessero essere compatibili con la necessità di disporre in tempi stretti della prestazione peritale, l’Avvocato del Comune può suggerire al Sindaco che nominerà d’urgenza un perito intuitu personae"; invero, la limitazione del ruolo dell’avvocatura circa la nomina di periti ad una mera proposta o suggerimento al Sindaco, svilisce illegittimamente la sfera di valutazione tecnica da reputarsi riservata all’autonomo giudizio del professionista nell’esercizio dell’attività di difesa dell’ente pubblico;
7. è illegittima una norma del regolamento  degli uffici e dei servizi di un Comune la quale prevede un "tetto massimo" (nella specie non superiore al 50% della retribuzione tabellare posseduta in godimento al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento) nella corresponsione dei compensi professionali agli avvocati dell'ufficio legale; tale norma non trova fondamento né nei principi di cui al r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, né nel C.C.N.L. di riferimento e per di più sconfina in materia riservata alla contrattazione integrativa decentrata ed in particolare contrasta con l’art. 27 del C.C.N.L. integrativo del comparto regioni ed enti locali del 14 settembre 2000 (il quale dispone che "Gli enti locali provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’Ente, secondo i principi di cui al R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all’art. 10 del C.C.N.L. del 31.03.1999"); infatti, alla stregua di quest’ultima disposizione, la previsione di eventuali limiti ai compensi professionali dell’avvocato pubblico - al quale comunque deve essere "assicurato un trattamento adeguato alla funzione professionale svolta", ai sensi dell’art. 23 della L. n. 247 del 21 dicembre 2012 - può trovare la sua sede solo nell’ambito della contrattazione decentrata attraverso il necessario raccordo con la disciplina della retribuzione di risultato;
8. alla stregua dell’art. 7 del d.lgs. 165/2001, l’utilizzo di professionalità esterne da parte delle PP.AA., nei casi tassativi stabiliti al comma 6 dello stesso articolo, assume carattere eccezionale rispetto al principio generale secondo cui le Amministrazioni devono provvedere allo svolgimento dei compiti loro affidati attraverso il personale e le strutture organizzative di cui dispongono, anche in considerazione del conseguente esborso di denaro pubblico;
9. è illegittima una norma del regolamento  degli uffici e dei servizi di un Comune nella parte in cui prevede che al Sindaco è consentito affidare incarichi professionali esterni "in casi di particolare specificità e/o complessità valutata dal Sindaco, sentita l’avvocatura", prevedendo un’ulteriore ipotesi derogatoria, che per la sua genericità e vaghezza ("in casi di particolare specificità e/o complessità") e per essere rimessa all’apprezzamento dell’organo politico ("valutata dal Sindaco, sentita l’avvocatura"), pone l’Avvocatura municipale in posizione di soggezione rispetto al Sindaco, consentendo sostanzialmente a quest’ultimo di delimitarne ad libitum la generale sfera di operatività e di svuotarne così le funzioni".


QUESTA LA MASSIMA:

TAR CAMPANIA - NAPOLI, SEZ. I - sentenza 21 febbraio 2014 n. 1144

E’ illegittima una norma del regolamento degli uffici e dei servizi di un Comune la quale prevede un "tetto massimo" (nella specie non superiore al 50% della retribuzione tabellare posseduta in godimento al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento) nella corresponsione dei compensi professionali agli avvocati dell'ufficio legale; tale norma non trova fondamento né nei principi di cui al r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, né nel C.C.N.L. di riferimento e per di più sconfina in materia riservata alla contrattazione integrativa decentrata ed in particolare contrasta con l’art. 27 del C.C.N.L. integrativo del comparto regioni ed enti locali del 14 settembre 2000 (il quale dispone che "Gli enti locali provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’Ente, secondo i principi di cui al R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all’art. 10 del C.C.N.L. del 31.03.1999"); infatti, alla stregua di quest’ultima disposizione, la previsione di eventuali limiti ai compensi professionali dell’avvocato pubblico - al quale comunque deve essere "assicurato un trattamento adeguato alla funzione professionale svolta", ai sensi dell’art. 23 della L. n. 247 del 21 dicembre 2012 - può trovare la sua sede solo nell’ambito della contrattazione decentrata attraverso il necessario raccordo con la disciplina della retribuzione di risultato.


martedì 25 febbraio 2014

U.N.A.E.P. all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2014 - Giustizia Amministrativa

E' oramai un dato di fatto: l'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici, da diversi anni, è invitata a portare il saluto della Pubblica Avvocatura in svariati TAR d'Italia, come d'altra parte da tempo accade per l'Avvocatura dello Stato.
Ciò accade già anche per le inaugurazioni della Giustizia Tributaria.





La sfida è ora quella di fare il nostro ingresso, in compagnia dei fratelli "maggiori" dello Stato, alle annuali inaugurazioni in Consiglio di Stato. 




Works in progress ... Colleghi!



La formazione obbligatoria a tempo...e il rilascio graduale come l'antibiotico dei tre giorni

SCADENZA DEL TRIENNIO 2011-2013 PER L'OBBLIGO FORMATIVO PER GLI AVVOCATI. ....DALLA CIRCOLARE DEL C.N.F. ALL'ART. 11 DELLA LEGGE FORENSE
La cosa bella della vita è che non smetti mai di imparare...
Che la vita... no, meglio la professione, è un eterno "banco di scuola".

Mai detti furono più azzeccati soprattutto se riferiti agli avvocati.

Si sa, finita l'Università si tira un lungo respiro pensando che, finalmente, si è finito di studiare!
Con la propria bella laurea di dottore in giurisprudenza in tasca, l'unico pensiero rimasto nella testa è quello di ... scegliere una bella cornice affinchè la resa sia perfetta!
In realtà, si finge (inizialmente) di dimenticare che c'è l'esame da avvocato, da sostenere, ma per quello c'è tempo. La pratica, i concorsi, ehhh...hai voglia...
Da qui a là...
Eppoi studiare per l'esame non è un problema... (seeee...molto peggio!), tanto basta ripassare...

Poi, se fortunosamente si è superato pure quello scoglio (irto q.b.), davvero ci si sente padroni del mondo: la "scuola" è davvero finita!

Ah sì?

Ehhh no!

C'è infatti la fatidica "formazione continua"
...... E' giusto, infatti, che chi più è fresco di studi debba ... studiare e prepararsi, mentre chi è un "vecchio" avvocato possa vivere di ricordi... (quanto era bello il Codice Zanardelli; affascinante però Calamandrei; non si può affrontare un atto senza latinetti; ecc.)


D'altra parte ce lo immaginiamo il vecchietto a "scuola"?


Forse... che sia per questo che l'art. 11 della legge forense n.  247/2012 («Formazione continua»), nel prevedere l'obbligo di formazione continua e permanente, fissa una serie di esclusioni, che, da alcune parti, sono state definite "autentici privilegi", dalle nostre parti amiamo definirle "incomprensibili"?


Si riporta la norma in parte qua: “Sono esentati dall’obbligo [di formazione continua]: … gli avvocati dopo venticinque anni di iscrizione all’albo o dopo il compimento del sessantesimo anno di età; i componenti di organi con funzioni legislative e i componenti del Parlamento europeo; i docenti e i ricercatori confermati delle università in materie giuridiche”.

Di tutte le esclusioni - se possono essere comprese quelle relative ai "docenti e ricercatori confermati", poiché si può supporre che se insegnano materie giuridiche, la loro preparazione continua è ritenuta implicita alle funzioni svolte - perché mai debbono essere esclusi gli altri?

Quali motivi hanno ispirato il legislatore per giungere a ritenere che i cittadini non devono essere garantiti sulla competenza e sull'aggiornamento ad oras, quando gli avvocati sono “anziani” o vengono "nominati" in una assemblea legislativa? Mica si fa un concorso per essere messi in lista...

Ha mica fatto il legislatore quattro conti?

Be', almeno abbiamo una conferma: il legislatore, oltre a non saper scrivere le norme, non sa neppure far di conto...
Se un giovane diviene avvocato a 26-27 anni, a 50 è spiccio da obbligo formativo....
E dopo?

Anziché rimanere aggiornato, un avvocato di 50 anni o giù di lì, ha la patente per leggere La Gazzetta dello Sport h24 (se maschio), o fare corsi di uncinetto h24 (se femmina)?

Che vi sia una presunzione di onniscienza che pervade l'avvocato in tali casi (e non lo sapevamo)?

O forse la formazione assunta negli anni precedenti rilascia gradualmente nel tempo altra formazione, come l'antibiotico dei tre giorni?

O è come per gli interessi sui titoli: fatto l'investimento iniziale le cedole vanno in automatico nel futuro...?

Mah!

A pensar male si fa peccato ma, diceva il buon vecchio Andreotti, ci si piglia... E allora, non è che la riforma forense sul punto sia stata "agevolata" da avvocati di una certa età?

.... bisognerebbe sentire dai giovanotti che erano ai vertici del C.N.F. o dell'O.U.A., alcuni ancora tali, altri no....

Insomma, in questi giorni in cui scade il triennio 2011-2013 e bisogna comprovare l'assolvimento dell'obbligo, facendo la somma dei crediti per dimostrare che, avendo raggiunto quota 75 punti, siamo "maestri del diritto", condividiamo quanto detto da alcuni colleghi, e cioè che "se ci sono degli obblighi da assolvere per svolgere la professione, questi dovrebbero valere per tutti, nessuno escluso".


Detto ciò: BUONI CONTEGGI



venerdì 21 febbraio 2014

“Gli avvocati non sono né giocolieri da circo, né conferenzieri da salotto: la giustizia è una cosa seria” (Calamandrei)

 L'applicazione ai compensi Avvocati del comma 457, art. 1, L.Stabilità 2014 


E' inutile dire che le regole non chiare equivalgono ad assenza di regole!
E ancora: che giustizia è se l'applicazione di una norma ad una medesima categoria di lavoratori, da nord a sud, viene lasciata al libero arbitrio interpretativo da parte degli enti, anche della stessa specie?
Poiché iniziano a porsi i primi problemi  ull'applicazione dell'incomprensibile comma 457 della Legge di Stabilità 2014, si è studiata una soluzione interpretativa che possa essere rispettosa di quel che ha detto il legislatore (confusamente) con la legge di stabilità (oltre a quella speciale, più chiara), con la Costituzione e con gli indirizzi giurisprudenziali costanti in materia, differentemente dalle FANTASIOSE improvvisazioni in linea solo con gli indirizzi ricevuti su commissione da "consulenti" o "funzionari", disancorate dai criteri di interpretazione della legge, dalle fonti del diritto e dalla loro gerarchia, le cui elucubrazioni incorrono in molteplici errori (cfr. Post su questo Blog di mercoledì 12 febbraio 2014 e La Gazzetta degli Enti Locali del 5 febbraio 2014 e Filodiritto del 24 febbraio 2014).
Diceva Calamandrei che "i giuristi non possono permettersi il lusso della fantasia".... 

Proviamo dunque a riassumere i termini della questione, evidenziando due tesi, entrambe sostenibili e giuridicamente fondate.
*****
Una prima tesi, potrebbe svilupparsi nel senso di sostenere che - riferendosi il legislatore ad una legge abrogata e, dunque, inesistente nel panorama normativo italiano - il comma 457 è inapplicabile per abrogazione della norma di riferimento sottostante.
Al riguardo, sorregge il principio di "antinomia normativa", il quale prevede che per comporre i contrasti di cui è viziata una norma, si debbano utilizzare criteri determinati (cronologico, gerarchico, della competenza).
Ebbene, dall'uso dei criteri citati, il comma 457 non si salverebbe in ogni caso, atteso che l'abrogazione della norma su cui si fonda (RD 1578/1933), è precedente addirittura all'emanazione della Legge di Stabilità di oltre un anno!
Né vale il richiamo alle "(...) successive modificazioni", poiché la legge forense del 1933 non è "vigente con successive modificazioni", ma è proprio abrogata, essendo entrata in vigore una legge diversa, la L. n. 247/2012, la cui fonte di produzione non è fonte dotata della medesima competenza e collocata al medesimo livello gerarchico: la legge di stabilità è legge generale, la legge forense è legge speciale, di talché la norma precedente (L. 247/2012) non perde efficacia dal momento in cui entra in vigore la norma nuova (L. Stabilità 2014), ma semplicemente quella nuova non sarà applicabile alla disciplina speciale che voleva regolare con la norma abrogata (RD 1578/1933).
L'eventuale applicazione del comma 457, se portato al vaglio dell'autorità giudiziaria, dovrebbe avere come conseguenza l’annullamento, quale effetto della dichiarazione di illegittimità che un giudice pronuncia nei confronti di un atto o di una norma che egli ritenga invalido e cioè viziato perché non conforme alle norme prodotte dalla fonte speciale che lo disciplinano condizionandone la validità.
Quindi, mentre l'abrogazione - espressione del criterio cronologico - opera nel normale ricambio fisiologico dell'ordinamento, l'annullamento colpisce quelle situazioni patologiche che in esso si producono.
*****
Una seconda interpretazione che è possibile costruire, relativamente alla "possibilità" di applicazione del comma in questione, necessita di prendere le mosse dal testo della norma:
457. A decorrere dal 1º gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016, i compensi professionali liquidati, esclusi, nella misura del 50 per cento, quelli a carico della controparte, a seguito di sentenza favorevole per le pubbliche amministrazioni ai sensi del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, o di altre analoghe disposizioni legislative o contrattuali, in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti nella misura del 75 per cento. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo di bilancio dello Stato. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale”,
In tale ipotesi le questioni potrebbero così svilupparsi.
In primo luogo occorre sgombrare il campo dagli equivoci che l’ultima “frase” contenuta nel comma 457 ha generato (“La disposizione di cui al precedente periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale”), facendo sorgere da più parti il dubbio che la trattenuta dai compensi professionali non si applichi agli avvocati dipendenti degli enti territoriali, e agli enti di competenza regionale o delle province autonome di Trento e Bolzano e del SSN.
IL COMMA 457 SI APPLICA ANCHE AGLI AVVOCATI DI QUESTI ENTI, COMPRESI GLI AVVOCATI DELLE PROVINCE DI TRENTO E BOLZANO E AL SERVIZIO SANITARIO. Ciò perché tale ultimo inciso si riferisce esclusivamente al versamento annuale delle somme “provenienti dalle riduzioni di spesa”, che - per queste ultime amministrazioni – non sono versate “ad apposito capitolo di bilancio dello Stato”, ma restano al bilancio delle amministrazioni medesime.
Conferma si trae dalla lettura dei lavori svolti nelle Commissioni competenti di Camera e Senato, rinvenibili sui rispettivi siti, nelle cui schede delle discussioni (nonché i dossier legislativi), è riportato quanto segue:
<<I commi 6 e 7 dell’art. 11 (ora comma 457 art. 1) dispongono in materia di onorari degli avvocati della pubblica amministrazione. Il comma 6 dispone - dal 1° gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016 - la riduzione al 75 per cento degli onorari liquidati in seguito a sentenze favorevoli alla pubblica amministrazione, secondo quanto stabilito dall'Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore (regio decreto-legge n. 1578 del 1933), in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni compreso il personale dell'Avvocatura dello Stato. Le somme così risparmiate verranno versate annualmente in un apposito capitolo di bilancio dello Stato dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria (ad eccezione degli enti territoriali, delle Province autonome di Trento e Bolzano e degli enti regionali del Servizio Sanitario Nazionale, li trattengono nei propri bilanci)>>.
E’ dunque evidente che, qualora applicabile, tale comma interessi tutti gli avvocati pubblici di tutte le amministrazioni pubbliche a cui è “aggiunta” l’Avvocatura dello Stato, e non il contrario.
* * * * *
NEL MERITO
Preliminarmente, vista la tecnica redazionale particolarmente imprecisa della norma, si deve chiarire che la terminologia utilizzata dal legislatore trova il proprio corrispondente applicativo negli artt. 91 e 92 del c.p.c., ove è previsto che “il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa”, e che in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni”, il giudice può compensare in tutto o in parte le spese del giudizio, avendo la quantificazione che il giudice effettua in sentenza una mera efficacia dichiarativa – sia che la liquidazione sia espressa, sia che sia compensata.
E’ dunque l’organo giudicante ad avere il potere fissato normativamente di “liquidare “ il compenso, o quantificandolo in un importo determinato o decidendone la compensazione se, a proprio insindacabile giudizio, ne ricorrano i presupposti.
Sicché, dalla esegesi del comma 457, si ricava che il termine “liquidato” deve essere ancorato alla “liquidazione giudiziale”, e dunque, ad una sentenza – atto pubblico. Ciò, oltre che essere un principio costante in giurisprudenza, è anche tecnicamente corretto, perché la “liquidazione” è un tipico potere giudiziale svolto nel processo. Al contrario, le amministrazioni pubbliche “erogano” retribuzioni o “corrispondono” (come indicato, infatti, dal comma in esame: “sono corrisposti nella misura del 75%”), somme a titolo di compensi professionali al personale delle Avvocature.
La recentissima giurisprudenza (Cons. Stato, IV, sent. 10.1.2014, n....), ribadisce lo jus receptum, secondo cui rientra nel concetto “liquidazione” non solo la quantificazione effettiva degli onorari, ma anche la compensazione delle spese processuali: “la statuizione del giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio e´ espressione di un ampio potere discrezionale insindacabile in sede di appello (...) neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di esercizio del potere discrezionale del giudice di merito quello dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime”.
Prosegue il Consiglio di Stato, “Tali principi trovano applicazione non soltanto quando il giudice abbia emesso una pronuncia di merito, ma anche quando egli si sia limitato a dichiarare l´inammissibilità o l’improcedibilità dell’atto introduttivo del giudizio. Infatti, pure in tali ultimi casi sussiste pur sempre una soccombenza, sia pure virtuale, di colui che ha agito con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile che consente al giudice di compensare parzialmente o totalmente le spese, esercitando un suo potere discrezionale che, nel caso specifico considerato, ha come suo unico limite il divieto di condanna della parte vittoriosa e che si traduce in un provvedimento che rimane incensurabile in cassazione purché non illogicamente motivato” (Cassazione civile , sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14576).
Detto principio è orientamento più volte predicato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare che la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisca espressione di un ampio potere discrezionale (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7581).
Si evidenzia come, a maggior sostegno della correttezza della presente interpretazione, le pubbliche amministrazioni non hanno potere di liquidare compensi professionali a carico delle controparti (cfr. l’inciso che esclude dalla riduzione il 50% dei compensi liquidati a carico della controparte), come invece si è espresso il legislatore.
Pertanto, con la locuzione “compensi professionali liquidati” devono intendersi i compensi liquidati in sentenza, essendo la terminologia utilizzata dal legislatore, nel caso dei compensi professionali forensi, ancorata all’ambito di applicazione della norma alla liquidazione giudiziale.
Diversamente si assisterebbe ad interpretazioni arbitrarie, contrastanti con le norme processuali indicate e oltre il dato letterale.
La giustizia si è stancata...di essere bistrattata
Sui tempi di applicazione del comma 457.
Sulla decorrenza, viste le sopra esposte argomentazioni, il comma 457 si applica alle note redatte ed alle somme riscosse su sentenze emesse dopo il 1 gennaio 2014. Di conseguenza, anche oltre il primo gennaio 2016 a tutte i compensi dovuti per sentenze emesse fino al 31 dicembre 2016.
Esso, quindi, dispiega effetti su tutti i compensi liquidati – anche in compensazione – da sentenze emesse successivamente al 1° gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016.
Nessuna retroattività riferita a sentenze contenenti liquidazione di compensi professionali espressa o compensata depositate prima del 1° gennaio 2014 è rinvenibile nella legge di Stabilità; sicché, in assenza di espressa deroga, vale il principio generale che la legge non dispone che per l’avvenire (art. 11, Preleggi).
Tale principio è correlato, quindi, all’applicazione del principio di competenza nell’imputazione delle somme in bilancio da parte delle pubbliche amministrazioni: il diritto al compenso professionale matura nel momento di deposito della sentenza (cfr. in tal senso la giurisprudenza, da ultimo: Trib. Bologna, Sez. Lavoro, sent. 25/11/2013).
Il legislatore, così facendo, ha operato nel rispetto del principio di “certezza” e dei principi e postulati che devono obbligatoriamente informare i bilanci pubblici (unità, annualità, universalità, integrità, veridicità, pubblicità): il riferimento del legislatore alla liquidazione giudiziale, consente una maggiore correttezza di bilancio, poiché ancorandolo alla sentenza-atto pubblico, rende trasparente e certe le fattispecie da sottoporre alla propria operatività.
Un cenno all’applicazione dell’ulteriore “decurtazione” per oneri riflessi – eccetto l’IRAP non dovuta, in quanto imposta e non onere - , al fine di evitare una “doppia imposizione” sui medesimi “emolumenti”, vietata dalla legge (artt. 3, 23, 53 Cost. e Cass. S.U. Sent. 12/2/2010, n. 3240), la soluzione più corretta dovrebbe essere: detrarre il 25% (circa, ogni Ente verificherà la propria percentuale di CPDEL e INAIL o altra Cassa), dalla somma complessiva da erogare a titolo di compensi dovuti per cause vinte a spese compensate e, sull’ammontare rimanente, applicare gli oneri riflessi.


martedì 18 febbraio 2014

Il legislatore (analfabeta) penalizza l'Avvocatura e il TAR lo castiga...!

Esiste un dato oggettivo, sotto gli occhi di tutti, a prescindere dalla categoria cui le persone appartengono: il legislatore è sempre più analfabeta.


Sembra un po' "legislatore prendi due paghi uno"...

Le norme, infatti, sono per lo più mal scritte, grammatica e sintassi sono sconosciute, i periodi sono scollegati, i riferimenti alle norme sono sbagliati.

E si potrebbe continuare, ma qui mi fermo.

Il risultato di questa "Babele" linguistica è l'assenza di criterio interpretativo univoco delle disposizioni legislative, con buona pace  della certezza del diritto e dell'articolo 12 delle preleggi (ammesso che l'odierno legislatore sappia che esiste....!), il quale stabilisce che: "nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore".

Suona un po' come una beffa leggere questa norma...Il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse? (risata) 

Ma, soprattutto, ciò che inquieta è il fatto che gli Enti da cui dipendiamo (e che difendiamo come nostro unico cliente, con appassionato senso di appartenenza), 'pendono' disperatamente da noi per ogni parere legale, per ogni difesa problematica, per tutto ciò che è "diritto", "legge", ecc., poi, improvvisamente, quando le norme (orrendamente redatte) da interpretare riguardano il nostro status, allora non siamo più affidabili, competenti, ergo: non ascoltano il nostro parere, bensì si aggrappano a tutti e tutto ciò che possa offrire soluzioni in malam partem (per noi, ovviamente..).

E quale risultato ottengono?

Ci costringono a proporre giudizi per veder riconosciuti diritti evidenti, normativamente sanciti, oppure per ribadire quanto altri giudici hanno già statuito, o ancora per veder confermate le ...tesi già da noi espresse .... "senza aggravio di condanne a spese legali di soccombenza, interessi e rivalutazioni monetarie"!

E' tuttavia noto il principio secondo cui quando il legislatore abdica al proprio ruolo, è il magistrato che colma il vuoto. E poiché il magistrato è intelligente, noi vinciamo tutte le cause!

Grazie legislatore! Continua così!

Ovviamente tutto ciò viene ben taciuto all'opinione pubblica...
E' più facile gridare ai quattro venti che l'avvocato dipendente percepisce gli onorari (rectius dovrebbe percepirli se gli venissero corrisposti), che dire la verità: se quel medesimo incarico legale fosse dato all'avvocato esterno, magari amico, parente, o amico dell'amico, quanto costerebbe? Costerebbe 10 volte tanto!

Ma la Corte dei Conti che ne pensa delle resistenze temerarie dei nostri Enti?

Vorrebbe, per caso, signora Corte iniziare a guardare a queste spese di pubblico denaro, evitabili con la correttezza del "buon padre di famiglia", e magari non solo dire la sua, che ha già detto ("le Avvocature in house consentono risparmi di spesa"), ma agire di conseguenza?

Quale padre di famiglia, infatti, dopo essere stato consigliato bene dal proprio avvocato cui sempre si rivolge satisfattivamente, nel momento di pagarlo (pur di non farlo) si affiderebbe al giudizio di un 'consulente' o di un impiegato (magari geloso) che lo induce a sbagliare e, a causa di lavoro avviata, pagare fior fiore di quattrini di spese di soccombenza?

Risposta: chi paga gli errori con i propri denari non lo farebbe mai!!

La sentenza sottostante è un ulteriore prova di quanto si va dicendo.

Da anni spieghiamo al nostro datore di lavoro che l'avvocato dipendente non è un dipendente come gli altri. Né potrebbe esserlo, poiché la sua attività è identica a quella dell'avvocato libero professionista: si svolge nei tribunali, segue tempi e termini imposti dai Codici (e non dall'Ente per cui lavora), ecc. Dunque, non può essere sottoposto al rito del marcatempo!
Se l'avvocato dipendente "marina" l'udienza...si vede, si verbalizza, e si rischia di perdere la causa.
Non basta?

Evidentemente no, perchè malgrado la Cassazione a Sezioni Unite, malgrado il CNF, la Corte dei Conti, i Tribunali del lavoro, i TAR e il Consiglio di Stato, bisogna far ...causa per affermare ciò.

E si vince, con condanna dell'Ente alle spese di soccombenza. E' il caso della sentenza qui sotto.

Art. 97 della Costituzione CERCASI. Astenersi perditempo.


TAR CAMPANIA - NAPOLI, SEZ. V - sentenza 17 febbraio 2014 n. 1045 (accoglie).
Pubblico impiego - Dipendenti degli enti locali - Avvocati - Regolamento del personale - Previsione che anche per gli avvocati comunali sussiste l’obbligo della rilevazione delle presenze mediante cartellini segnatempo - Illegittimità.
E’ illegittima la deliberazione di un Comune con la quale, in sede di approvazione del regolamento in materia di presenza in servizio dei dipendenti comunali, è stato stabilito che anche l’avvocato comunale è sottoposto ad un sistema automatico di rilevazione delle presenze in servizio ed è, quindi, obbligato ad utilizzare il cartellino segnatempo nonché un sistema di preventiva comunicazione in caso di prestazione dei servizi esterni (1).
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(1) Ha rilevato la sentenza in rassegna che il sistema di rilevazione automatica si risolve, quanto meno in astratto (anche al di là delle intenzioni di chi decide di adottarlo), in uno strumento idoneo obiettivamente a produrre una limitazione dei profili di autonomia professionale e di indipendenza che vanno invece riconosciuti alla figura dell’avvocato comunale.
Va peraltro considerato che l’avvocato di un ente pubblico, per intuibili ragioni connesse alle esigenze di patrocinio, è spesso costretto ad assentarsi dal posto di lavoro per raggiungere le sedi giudiziarie dove pendono le controversie in cui è parte l’ufficio da lui rappresentato ed è evidente quanto siffatta necessaria mobilità sia in contrasto con gli obblighi, ma anche con le formalità ed i tempi legati ad un (obbligatorio) utilizzo del "badge" e, deve aggiungersi, con la preventiva comunicazione dei servizi esterni a sua volta incompatibile con la spesso non prevedibile esigenza di prestare la propria attività professionale fuori della sede di servizio interno.
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Documenti correlati:
Sul sistema di rilevazione delle presenze per gli avvocati degli enti pubblici:
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V, ordinanza 30-7-2009 (conferma l’ordinanza del T.A.R. Campania - Salerno che aveva ritenuto illegittima una circolare regionale con la quale è stato attivato il sistema automatico di rilevazione delle presenze di tutto il personale dipendente, nella parte in cui assoggetta a tale sistema anche agli avvocati dipendenti dell’avvocatura regionale).
TAR CAMPANIA - SALERNO SEZ. II, ordinanza 15-5-2009 (sulla illegittimità di una circolare regionale con la quale è stato attivato il sistema automatico di rilevazione delle presenze di tutto il personale dipendente, nella parte in cui assoggetta a tale sistema anche agli avvocati dipendenti dell’avvocatura regionale), con commento di O. CARPARELLI.
TAR CAMPANIA - NAPOLI SEZ. V, sentenza 24-1-2013 (sulla legittimità o meno della delibera con la quale un Comune dispone la rivelazione automatica delle presenze, tramite c.d. "badge", anche per dipendenti avvocati).
TAR CAMPANIA - SALERNO SEZ. II, ordinanza 15-1-2010 (sulla legittimità o meno dei provvedimenti con il quali la Regione Campania ha ritenuto applicabile anche agli avvocati dipendenti della Regione l’obbligo di utilizzare il c.d. "badge" per rilevare la loro presenza in servizio), con commento di P. D’ANGIOLILLO.
Sullo status degli avvocati degli enti pubblici:
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V, sentenza 14-2-2012 (sulla necessità di garantire agli avvocati degli enti pubblici una situazione di autonomia e di indipendenza e sulla illegittimità della delibera della Giunta provinciale che prevede la sottoposizione dell’Ufficio legale alle direttive e agli ordini del direttore generale, nonché sull’organo al quale spetta nominare il singolo difensore).
CGA - SEZ. GIURISDIZIONALE, sentenza 15-10-2009 (secondo cui agli uffici legali degli enti pubblici va attribuita una posizione autonoma ed equiordinata rispetto alle restanti strutture di massimo livello della P.A.; ritiene illegittimo un regolamento dei servizi del Comune che, nel disciplinare l’Avvocatura comunale, la pone alle dipendenze del Direttore generale, senza prevedere un Avvocato capo).
TAR PUGLIA - BARI SEZ. I, sentenza 9-2-2012 (sul giudice competente a decidere una controversia riguardante alcune deliberazioni con le quali la G.M., nel riorganizzare l’assetto degli uffici e dei servizi comunali, ha posto il Servizio Avvocatura Comunale in posizione subordinata nell’ambito del 1° Settore, alle dipendenze del dirigente di tale Settore).
TAR PUGLIA - LECCE SEZ. III, sentenza 25-3-2010 (sulla legittimità o meno del regolamento dell’avvocatura comunale che limita ad alcune ipotesi la corresponsione dei compensi professionali dovuti agli avvocati del Comune a seguito di sentenza favorevole all’ente e che prevede il conferimento di incarichi a professionisti esterni per la rappresentanza e difesa in giudizio del Comune).
TAR CALABRIA - REGGIO CALABRIA, SEZ. I, sentenza 22-12-2008, n. 731, (sulla legittimità o meno di una deliberazione con la quale una P.A. ha stabilito che gli avvocati e/o i legali, propri dipendenti, devono operare non già autonomamente, bensì all’interno dell’Area amministrativa della P.A. stessa e, in particolare, alle dipendenze del Direttore amministrativo).
TAR SARDEGNA - CAGLIARI, SEZ. II, sentenza 14-1-2008, n. 7 (sull’illegittimità di un regolamento comunale il quale prevede che l’Ufficio legale sia alle dipendenze dell’Ufficio staff ed in particolare del Segretario comunale, dovendo essere garantita la necessaria indipendenza degli uffici legali, i quali debbono essere posti in diretta connessione unicamente con il vertice decisionale dell’Ente).
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N. 01045/2014 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)

SENTENZA

T D G, rappresentata e difesa dagli avv. Ezio Maria Zuppardi e Debora Chiaviello, con domicilio eletto in Napoli, al viale Gramsci, 16
contro

Comune di Marano di Napoli, in persona del legale rapp.te, rappresentato e difeso dall'avv. Saverio Griffo, con domicilio processuale in Napoli, presso la Segreteria del T.A.R.
per l'annullamento

della deliberazione del Commissario straordinario del Comune di Marano di Napoli n 77 del 24. 5.2013, successivamente recante l'approvazione del regolamento in materia di presenza in servizio dei dipendenti comunali e, in particolare, dell’art. 12, rubricato "Orario di servizio responsabile avvocatura" nella parte in cui stabilisce che l’avvocato comunale è sottoposto ad un sistema automatico di rilevazione delle presenze in servizio (art. 12, comma 1), nonché ad un sistema di preventiva comunicazione in caso di prestazione dei servizi esterni (art. 12, comma 2).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Marano di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2014 il dott. Alfredo Storto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Col ricorso in esame, Tiziana Di Grezia, avvocato del Comune di Marano di Napoli col profilo professionale funzionario amministrativo avvocato categoria D3, iscritta all’albo speciale ex art. 3 r.d. n. 1578/1933, impugna l’art. 12 della deliberazione del Commissario straordinario del Comune n. 77/2013 nella parte in cui prevede l’utilizzo del badge magnetico quale sistema d rilevazione delle presenze dell’avvocato dell’ente ed impone la preventiva comunicazione dei servizi esterni del medesimo avvocato al capo dell’amministrazione.
Ad avviso della ricorrente tali previsioni, ledendo l’autonomia dell’avvocato comunale, sarebbero in contrasto con l’art. 3 del r.d. n. 1578/1933, con l’art. 15 l. n. 70/1975 e con l’art. 2 d.lgs. n. 30/2006, nonché con gli artt. 3 e 97 Cost., oltre ad essere viziate da contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta, carenza ed erroneità dell’istruttoria e della motivazione, sviamento di potere.
Si è difesa l’amministrazione comunale considerando, in particolare, che il regolamento consentirebbe la rilevazione, oltre che tramite badge magnetico, anche con l’utilizzo di un foglio di presenze e che la preventiva comunicazione dei servizi esterni non inciderebbe sull’attività professionale.
Ritiene il Collegio che il processo possa essere definito con sentenza in forma semplificata, ricorrendo le condizioni processuali ex art. 60 c.p.a. ed essendo state sentite sul punto le parti comparse nell’odierna camera di consiglio.
Questa Sezione ha infatti già statuito (cfr. da ultimo sentenza 24 gennaio 2013, n. 547) ritenendo un’incompatibilità logica e strutturale fra le mansioni implicate dal profilo professionale di avvocato e il sistema automatico di rilevazione fondato sul cd. "badge", ancorché previsto in astratto come alternativo alla rilevazione delle presenze mediante apposito foglio, tenuto conto che, in definitiva, spetta comunque all’amministrazione decidere di quale modalità concreta valersi in un certo momento storico.
Il sistema di rilevazione automatica «si risolve, quanto meno in astratto (anche al di là delle intenzioni di chi decide di adottarlo), in uno strumento idoneo obiettivamente a produrre una limitazione dei profili di autonomia professionale e di indipendenza che vanno invece riconosciuti a questa figura, per prassi amministrativa, dalla costante giurisprudenza e soprattutto nel rispetto della vigente legislazione.
In secondo luogo (…) l’avvocato di un ente pubblico, per intuibili ragioni connesse alle esigenze di patrocinio, è spesso costretto ad assentarsi dal posto di lavoro per raggiungere le sedi giudiziarie dove pendono le controversie in cui è parte l’ufficio da lui rappresentato ed è evidente quanto siffatta necessaria mobilità sia in contrasto con gli obblighi, ma anche con le formalità ed i tempi legati ad un (obbligatorio) utilizzo del badge» e, deve aggiungersi, con la preventiva comunicazione dei servizi esterni a sua volta incompatibile con la spesso non prevedibile esigenza di prestare la propria attività professionale fuori della sede di servizio interno.
«Infine, a definitivo conforto della tesi qui esposta, vale la pena di ricordare che la giurisprudenza – dalla quale non vi è motivo di discostarsi in questa sede – ha costantemente affermato i principi sopra condivisi (cfr., da tempi risalenti, in materia di sistemi di rilevazione automatica della presenza degli avvocati degli enti pubblici questo Tar Campania, Napoli, Sez. II, 4 dicembre 1996 n. 560, secondo cui :"Il provvedimento col quale l'Inps dispone che anche i dipendenti appartenenti al ruolo legale soggiacciano alle medesime procedure di rilevazione automatica delle presenze vigenti per il restante personale, è da considerasi illegittimo perché il lavoro esterno che in talune occasioni può essere richiesto al detto personale, non può giustificare metodi di accertamento del rispetto dell'orario di servizio differenti."»
Questi motivi inducono all’accoglimento del ricorso, e, per l’effetto, all’annullamento in parte qua del provvedimento impugnato, regolando le spese in dispositivo secondo soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla in parte qua l’atto con esso gravato.
Condanna il Comune di Marano di Napoli a rifondere a Tiziana Di Grezia le spese di lite liquidate in complessivi euro 1.000,00 (mille), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Domenico Nappi, Presidente
Vincenzo Cernese, Consigliere
Alfredo Storto, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 17/02/2014.