Quando il gioco si fa duro...i duri cominciano a giocare!
(Sottotitolo: Osservazioni a caldo, a ruota libera, di una lavoratrice che vede messe "sempre e solo" le mani nelle sue tasche)
Di recente, la Ragioneria Generale dello Stato - con nota protocollo n. 72010 del 4/10/2013 - ha rilasciato un parere alla Provincia di Avellino, su quesiti relativi agli “Incentivi/Compensi professionali all’avvocatura ai sensi dell'art. 27, CCNL 14.09.2000”.
In specie, era stato chiesto "se gli incentivi professionali ex art. 27 del CCNL 14.09.2000, siano da computarsi o meno ai fini del tetto di spesa del personale e di contenimento della contrattazione integrativa ai sensi dell’art. 1 comma 557 della legge n. 296/2006, come modificato dell’art. 14, comma 7, del DL n. 78/2010 convertito dalla legge n. 122/2010, alla luce della circostanza che gli stessi risultano esclusi dal blocco di cui all’art. 9, comma 2-bis, del medesimo DL n. 78/2010"; ed inoltre "se sia possibile finanziare il pagamento di tali incentivi professionali - con riferimento a sentenze favorevoli con compensazione di spese - con risorse di bilancio nella ipotesi in cui tutte le risorse finanziarie allo scopo impegnate risultino già state utilizzate ai fini della integrazione del fondo risorse “variabili” (escluse dai vincoli di cui all’art. 9, comma 2-bis del DL 78/2010)".
Curiosamente tale risposta è stata ripresa dal Sole 24 Ore - notoriamente avverso alla categoria degli avvocati pubblici, poiché vorrebbe gli avvocati dipendenti privati -, quasi come si trattasse di una notizia rilevante per i più, titolando "Spese di lite compensate, niente incentivi al legale", determinando solo confusione terminologica, prima ancora che sostanziale (dal momento che è stato ripreso acriticamente l’errore in cui è incorsa la R.G.S.), come di consueto.
Veniamo al merito del parere.
E' la stessa Ragioneria dello Stato ad ingenerare equivoci (e allora scusiamo il Sole), quando si riferisce erroneamente agli "incentivi", che sono notoriamente emolumenti diversi dai "compensi professionali", e non solo per la differenza lessicale, quanto, e soprattutto, per la diversa fonte che li disciplina: solo contrattuale (CCNL) per gli incentivi (quindi diversa per ogni comparto), legislativa (Legge Forense) per i compensi professionali (quindi uguali per l'intera categoria professionale). Sicché, com'è noto, il rinvio alla contrattazione attiene solo la correlazione fra questi e l'incentivazione corrisposta anche agli altri dipendenti degli enti.
Ed infatti, in esecuzione di tale norma contrattuale, molti enti – soprattutto territoriali – escludono in toto la corresponsione degli incentivi agli avvocati, in quanto sostituiti dai compensi professionali (onorari).
Una ulteriore precisazione, prima di affrontare nel dettaglio il parere della R.G.S., é necessaria, sul tipo di provvedimento, ovvero sulla sua collocazione nella gerarchia delle fonti del diritto amministrativo. Si tratta, infatti, di un "parere" quello emesso dalla RGS, ovvero un atto amministrativo non provvedimentale (al pari delle "richieste", "proposte", "determinazioni", ecc.), che non possiede i requisiti dell'esecutività, intesa come l'idoneità ad incidere sulla sfera giuridica altrui mediante costituzione, estinzione e modificazione di posizioni giuridiche. Allo stesso modo, i pareri sono privi di esecutorietà, inoppugnabilità e, per loro natura, sono atti innominati e atipici.
Ciò detto sulla qualificazione giuridica, più in generale i "pareri" sono manifestazioni di giudizio che, a seconda della obbligatorietà o meno della loro resa, possono ulteriormente essere suddivisi in vincolanti e non vincolanti, a seconda che l'amministrazione procedente sia obbligata o meno a richiederli e possa o non possa discostarsi dagli stessi.
Ed infatti, in esecuzione di tale norma contrattuale, molti enti – soprattutto territoriali – escludono in toto la corresponsione degli incentivi agli avvocati, in quanto sostituiti dai compensi professionali (onorari).
Una ulteriore precisazione, prima di affrontare nel dettaglio il parere della R.G.S., é necessaria, sul tipo di provvedimento, ovvero sulla sua collocazione nella gerarchia delle fonti del diritto amministrativo. Si tratta, infatti, di un "parere" quello emesso dalla RGS, ovvero un atto amministrativo non provvedimentale (al pari delle "richieste", "proposte", "determinazioni", ecc.), che non possiede i requisiti dell'esecutività, intesa come l'idoneità ad incidere sulla sfera giuridica altrui mediante costituzione, estinzione e modificazione di posizioni giuridiche. Allo stesso modo, i pareri sono privi di esecutorietà, inoppugnabilità e, per loro natura, sono atti innominati e atipici.
Ciò detto sulla qualificazione giuridica, più in generale i "pareri" sono manifestazioni di giudizio che, a seconda della obbligatorietà o meno della loro resa, possono ulteriormente essere suddivisi in vincolanti e non vincolanti, a seconda che l'amministrazione procedente sia obbligata o meno a richiederli e possa o non possa discostarsi dagli stessi.
Nel caso specifico, il parere é stato emesso - su istanza di una pubblica amministrazione - da un organo, la RGS, che ha come fine istituzionale la predisposizione del bilancio di previsione e del rendiconto generale dello Stato (bilancio consuntivo), della tenuta della contabilità, della vigilanza sulla spesa pubblica - in particolare degli agenti contabili - e dell'accertamento delle entrate. A questi compiti aggiunge quelli di vigilanza sull'attività finanziaria e contabile degli enti pubblici e degli enti locali (si badi bene: attraverso l'esame degli atti deliberativi degli enti stessi, tramite ispezioni o a mezzo di propri revisori), monitorando la spesa concernente il pubblico impiego.
Dunque, il parere in questione é ascrivibile alle mere “espressioni di giudizio” del soggetto che le esprime, lungi dall’essere vincolanti con riguardo ai contenuti.
A questo punto si può analizzare il contenuto dell’espressione di giudizio della Ragioneria generale dello Stato, in relazione agli "incentivi" professionali, ai fini del loro computo nel "tetto" di spesa di cui alla legge n. 296/06 e s.m.i.
In primo luogo, richiamando la nota Corte dei Conti - Sezioni riunite - n. 27/2011, la RGS opera il rinvio alla propria datata circolare n. 9 del 17/02/06 – in cui erano state "individuate le componenti di spesa da considerare per la base di calcolo per la riduzione e sono altresì elencate le voci di spesa escluse da tale calcolo", precisando che tra le voci escluse "sono individuate le spese di personale totalmente a carico di finanziamenti comunitari o privati, che non comportano quindi alcun aggravio per il bilancio dell’Ente”, apparendo del tutto evidente che l’esclusione dal tetto di spesa "trova fondamento nel principio che tali spese non trovano copertura nelle risorse proprie dell’Ente ma sono necessariamente etero finanziate". Tale sostanziale condizione risulta rispettata, a parere della Ragioneria, "nel caso dei compensi dovuti all’avvocatura interna derivanti da cause con vittoria di spese a carico della controparte; viceversa i compensi dovuti con riferimento a sentenze favorevoli con spese compensate trovano di necessità copertura nelle risorse del bilancio dell’Ente e costituiscono pertanto un aggravio di spesa che non rispetta la condizione essenziale indicata nella circolare per la esclusione dal calcolo".
In sostanza, la R.G.S. ricalca il medesimo ragionamento espresso dalla Corte dei Conti nel 2011, e cioè precedentemente all'entrata in vigore della legge sull'ordinamento forense, secondo cui la distinzione ai fini dell'esclusione o meno dal tetto di spesa poteva fondarsi sulla differenza fra compenso professionale derivante da spesa compensata o da condanna di soccombenza.
Fermo restando l'errore genetico di imputazione delle somme (compenso professionale e non incentivo), permane il fatto che il panorama normativo odierno é mutato, essendo frattanto divenuta diritto vivente la legge professionale forense, la quale per espressa disposizione di legge si applica anche agli avvocati dipendenti degli enti pubblici, e dispone che laddove non vi sia pattuizione sui compensi professionali, si applicano i parametri giudiziali (cfr. art. 13, L.F.), con buona pace di contratti integrativi o regolamenti locali difformi dalla legge ordinaria speciale dello Stato.
D’altra parte la legge sull’ordinamento professionale forense, comprensiva degli avvocati degli enti pubblici ex art. 23, fra i "principi generali" – ovvero di diretta applicazione per ogni avvocato – detta la disciplina della professione valevole per tutti gli avvocati (cfr. art. 2), in cui è sancito che “l'avvocato è un libero professionista che, in libertà, autonomia e indipendenza, svolge le attività di assistenza, rappresentanza e difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali. L'avvocato ha la funzione di garantire al cittadino l'effettività della tutela dei diritti, e l'iscrizione ad un albo circondariale è condizione per l'esercizio della professione di avvocato. Infine, è sancito che l'avvocato, nell'esercizio della sua attività professionale, è soggetto alla legge e alle regole deontologiche”.
Ciò a dire che l’avvocato dell’ente pubblico non è un dipendente nell’accezione classica, secondo quanto già analizzato in precedenza, cui possa essere applicata analogicamente la disciplina (in specie degli incentivi), applicabile agli altri dipendenti degli enti.
In primo luogo, richiamando la nota Corte dei Conti - Sezioni riunite - n. 27/2011, la RGS opera il rinvio alla propria datata circolare n. 9 del 17/02/06 – in cui erano state "individuate le componenti di spesa da considerare per la base di calcolo per la riduzione e sono altresì elencate le voci di spesa escluse da tale calcolo", precisando che tra le voci escluse "sono individuate le spese di personale totalmente a carico di finanziamenti comunitari o privati, che non comportano quindi alcun aggravio per il bilancio dell’Ente”, apparendo del tutto evidente che l’esclusione dal tetto di spesa "trova fondamento nel principio che tali spese non trovano copertura nelle risorse proprie dell’Ente ma sono necessariamente etero finanziate". Tale sostanziale condizione risulta rispettata, a parere della Ragioneria, "nel caso dei compensi dovuti all’avvocatura interna derivanti da cause con vittoria di spese a carico della controparte; viceversa i compensi dovuti con riferimento a sentenze favorevoli con spese compensate trovano di necessità copertura nelle risorse del bilancio dell’Ente e costituiscono pertanto un aggravio di spesa che non rispetta la condizione essenziale indicata nella circolare per la esclusione dal calcolo".
In sostanza, la R.G.S. ricalca il medesimo ragionamento espresso dalla Corte dei Conti nel 2011, e cioè precedentemente all'entrata in vigore della legge sull'ordinamento forense, secondo cui la distinzione ai fini dell'esclusione o meno dal tetto di spesa poteva fondarsi sulla differenza fra compenso professionale derivante da spesa compensata o da condanna di soccombenza.
Fermo restando l'errore genetico di imputazione delle somme (compenso professionale e non incentivo), permane il fatto che il panorama normativo odierno é mutato, essendo frattanto divenuta diritto vivente la legge professionale forense, la quale per espressa disposizione di legge si applica anche agli avvocati dipendenti degli enti pubblici, e dispone che laddove non vi sia pattuizione sui compensi professionali, si applicano i parametri giudiziali (cfr. art. 13, L.F.), con buona pace di contratti integrativi o regolamenti locali difformi dalla legge ordinaria speciale dello Stato.
D’altra parte la legge sull’ordinamento professionale forense, comprensiva degli avvocati degli enti pubblici ex art. 23, fra i "principi generali" – ovvero di diretta applicazione per ogni avvocato – detta la disciplina della professione valevole per tutti gli avvocati (cfr. art. 2), in cui è sancito che “l'avvocato è un libero professionista che, in libertà, autonomia e indipendenza, svolge le attività di assistenza, rappresentanza e difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali. L'avvocato ha la funzione di garantire al cittadino l'effettività della tutela dei diritti, e l'iscrizione ad un albo circondariale è condizione per l'esercizio della professione di avvocato. Infine, è sancito che l'avvocato, nell'esercizio della sua attività professionale, è soggetto alla legge e alle regole deontologiche”.
Ciò a dire che l’avvocato dell’ente pubblico non è un dipendente nell’accezione classica, secondo quanto già analizzato in precedenza, cui possa essere applicata analogicamente la disciplina (in specie degli incentivi), applicabile agli altri dipendenti degli enti.
Il medesimo ragionamento vale per il secondo punto trattato dalla R.G.S. (ndr: “Finanziamento in presenza di risorse del Fondo completamente utilizzate”), dato che essa richiama l’art. 27 del Ccnl del 14.9.2000, il quale "prevede l’adozione, da parte degli enti, di una disciplina specifica in materia di compensi professionali da corrispondere agli avvocati interni, secondo i principi stabiliti dal R.D. n. 1578/1933, nonché la disciplina, in sede di contrattazione decentrata integrativa, della correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato".
In questo caso, più che nel precedente, il parere risulta superato, sbagliato e fuorviante, non solo per il merito, ma anche perché prende in esame il solo art. 27 della contrattazione (che riguarda i funzionari degli enti locali), e non lo speculare art. 37 (ccnl 31.12.1999, relativo ai dirigenti), con la conseguenza che eventuali applicazioni di esso da parte degli enti, determinerebbero pericolosi contenziosi con spese notevoli a carico delle Amministrazioni, come accadde (e accade) nel caso del rimborso della tassa annuale per l'iscrizione all'albo e l'illecita trattenuta IRAP (é di questi giorni -25 settembre 2013 - il dispositivo del Giudice del Lavoro di Bologna, su una causa avente come contenuto l'impugnazione della regolamentazione unilaterale dei compensi professionali di un Ente, la ripetizione delle somme per la tassa annuale e dell'IRAP, con il quale é stata disposta la disapplicazione della regolamentazione unilaterale, la restituzione dell'IRAP e il rimborso delle tasse annuale).
In questo caso, più che nel precedente, il parere risulta superato, sbagliato e fuorviante, non solo per il merito, ma anche perché prende in esame il solo art. 27 della contrattazione (che riguarda i funzionari degli enti locali), e non lo speculare art. 37 (ccnl 31.12.1999, relativo ai dirigenti), con la conseguenza che eventuali applicazioni di esso da parte degli enti, determinerebbero pericolosi contenziosi con spese notevoli a carico delle Amministrazioni, come accadde (e accade) nel caso del rimborso della tassa annuale per l'iscrizione all'albo e l'illecita trattenuta IRAP (é di questi giorni -25 settembre 2013 - il dispositivo del Giudice del Lavoro di Bologna, su una causa avente come contenuto l'impugnazione della regolamentazione unilaterale dei compensi professionali di un Ente, la ripetizione delle somme per la tassa annuale e dell'IRAP, con il quale é stata disposta la disapplicazione della regolamentazione unilaterale, la restituzione dell'IRAP e il rimborso delle tasse annuale).
Inoltre, come precisato, e sancito giudizialmente, la disciplina dei compensi non può essere adottata unilateralmente dal "cliente-datore", ma o è pattizia, o valgono i parametri.
Tertium non datur.
Infatti, con l'entrata in vigore della legge forense, il 1 febbraio 2013, non é certo "l'adozione della regolamentazione della materia da parte dell’ente", la condizione necessaria "per il riconoscimento dei compensi agli avvocati interni corrispondentemente a quanto regolamentato per gli avvocati dello Stato"; ma é vero il contrario, come si é detto poc'anzi.
Il punto di partenza é errato, ma anche il punto di arrivo: sostenendo infatti che la ratio della norma di cui all’articolo 9, comma 2-bis, del DL n. 78/2010, verrebbe meno "nel caso di compensi in favore degli avvocati non derivanti da condanna alle spese della controparte", poiché la fonte di finanziamento inciderebbe sugli equilibri del bilancio dell’ente, si tace del fatto che se il giudizio fosse affidato ad un legale esterno, l'Ente si troverebbe a pagare il compenso professionale sia nel caso di compensazione delle spese, che nel caso di causa persa, con buona pace dell'art. 9, comma 2 bis e della sua ratio.
Ma v’è di più. La Corte dei Conti sopra menzionata, ha avuto modo di valutare il profilo della non estensibilità dell’analogia legis come disciplinata dall’art. 12, comma 2, delle disposizioni preliminari al codice civile, ai contratti collettivi di lavoro, poiché non prevista e non applicabile ai criteri di interpretazione dei contratti. Difatti, essendo il contratto un atto negoziale, frutto della concorde volontà di due o più soggetti, esso vincola, tranne i casi espressamente previsti dalla legge, ai sensi dell’art.1372 c.c., solamente le parti stipulanti e nel caso dei contratti collettivi le categorie datoriali e dei lavoratori in essi espressamente rappresentate e previste.
Nel caso specifico, se vale il ragionamento che in materia di pubblico impiego, l’interpretazione autentica dei contratti collettivi non è riservata in via unilaterale e vincolante né all’ARAN, né alla Ragioneria generale dello Stato, in quanto organi amministrativi, ma alla specifica procedura contrattuale prevista dall’art.49 del d.lgs.165/2001, la quale prevede la partecipazione necessaria delle parti contrattuali che hanno redatto la norma originaria, a maggior ragione tale assunto vale per gli avvocati degli enti pubblici, regolati da una legge dello Stato, ordinaria e speciale, e dunque in posizione di vertice nella gerarchia delle fonti del diritto interno.
Infatti, con l'entrata in vigore della legge forense, il 1 febbraio 2013, non é certo "l'adozione della regolamentazione della materia da parte dell’ente", la condizione necessaria "per il riconoscimento dei compensi agli avvocati interni corrispondentemente a quanto regolamentato per gli avvocati dello Stato"; ma é vero il contrario, come si é detto poc'anzi.
Il punto di partenza é errato, ma anche il punto di arrivo: sostenendo infatti che la ratio della norma di cui all’articolo 9, comma 2-bis, del DL n. 78/2010, verrebbe meno "nel caso di compensi in favore degli avvocati non derivanti da condanna alle spese della controparte", poiché la fonte di finanziamento inciderebbe sugli equilibri del bilancio dell’ente, si tace del fatto che se il giudizio fosse affidato ad un legale esterno, l'Ente si troverebbe a pagare il compenso professionale sia nel caso di compensazione delle spese, che nel caso di causa persa, con buona pace dell'art. 9, comma 2 bis e della sua ratio.
Ma v’è di più. La Corte dei Conti sopra menzionata, ha avuto modo di valutare il profilo della non estensibilità dell’analogia legis come disciplinata dall’art. 12, comma 2, delle disposizioni preliminari al codice civile, ai contratti collettivi di lavoro, poiché non prevista e non applicabile ai criteri di interpretazione dei contratti. Difatti, essendo il contratto un atto negoziale, frutto della concorde volontà di due o più soggetti, esso vincola, tranne i casi espressamente previsti dalla legge, ai sensi dell’art.1372 c.c., solamente le parti stipulanti e nel caso dei contratti collettivi le categorie datoriali e dei lavoratori in essi espressamente rappresentate e previste.
Nel caso specifico, se vale il ragionamento che in materia di pubblico impiego, l’interpretazione autentica dei contratti collettivi non è riservata in via unilaterale e vincolante né all’ARAN, né alla Ragioneria generale dello Stato, in quanto organi amministrativi, ma alla specifica procedura contrattuale prevista dall’art.49 del d.lgs.165/2001, la quale prevede la partecipazione necessaria delle parti contrattuali che hanno redatto la norma originaria, a maggior ragione tale assunto vale per gli avvocati degli enti pubblici, regolati da una legge dello Stato, ordinaria e speciale, e dunque in posizione di vertice nella gerarchia delle fonti del diritto interno.
Pertanto: presupposto sbagliato (incentivo), merito superato (nuova legge forense), ratio forzata.
Nessun commento:
Posta un commento