La strategia a tenaglia...
Quando il gioco si fa duro...i duri cominciano a giocare!
(sempre a caldo)
sulla bozza di Legge di Stabilità per il 2014
Il testo di “legge di stabilità” approvato dal Consiglio dei Ministri nella notte fra il 15 e 16 ottobre 2013, conteneva un articolo molto suggestivo: “dapprima fu” l’art. 11, il quale, dopo il comma 18, riportava due periodi “senza numero” che prevedevano quanto segue:
“A decorrere dal 1 gennaio 2014, i compensi professionali liquidati a seguito di sentenza favorevole per le pubbliche amministrazioni ai sensi del regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578 o di altre analoghe disposizioni legislative o contrattuali, in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, nonché del personale dell’Avvocatura dello Stato, possono essere corrisposti al predetto personale nella misura massima del cinquanta per cento.
Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano del SSN”.
Il commento al testo sopra riportato, sanciva in prima battuta che la disposizione in parola sarebbe intervenuta “a ridurre del 50% gli onorari spettanti agli avvocati della P.A., in relazione al patrocinio reso per le cause favorevoli all’amministrazione”, arrivando altresì a “quantificare i risparmi di spesa lordi in 50 mln di euro dall’anno 2014, relativamente al comparto Stato ed agli enti dotati di autonomia finanziaria che sono tenuti al versamento dei relativi importi”.
L’Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici, con immediatezza il 17 ottobre ha preso posizione con una serie di considerazioni trasmesse alle compententi sedi legislative, in cui - non tacendo che la tecnica di redazione della disposizione era di incerta interpretazione e pure errata nel dato normativo, dal momento che richiama(va) la legge professionale abrogata (RD n. 1578/1933) dall'attuale legge forense n. 247/2012 (in vigore già dal 1 febbraio di quest'anno ...), ha evidenziato le maggiori incongruenze.
“A decorrere dal 1 gennaio 2014, i compensi professionali liquidati a seguito di sentenza favorevole per le pubbliche amministrazioni ai sensi del regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578 o di altre analoghe disposizioni legislative o contrattuali, in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, nonché del personale dell’Avvocatura dello Stato, possono essere corrisposti al predetto personale nella misura massima del cinquanta per cento.
Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano del SSN”.
Il commento al testo sopra riportato, sanciva in prima battuta che la disposizione in parola sarebbe intervenuta “a ridurre del 50% gli onorari spettanti agli avvocati della P.A., in relazione al patrocinio reso per le cause favorevoli all’amministrazione”, arrivando altresì a “quantificare i risparmi di spesa lordi in 50 mln di euro dall’anno 2014, relativamente al comparto Stato ed agli enti dotati di autonomia finanziaria che sono tenuti al versamento dei relativi importi”.
L’Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici, con immediatezza il 17 ottobre ha preso posizione con una serie di considerazioni trasmesse alle compententi sedi legislative, in cui - non tacendo che la tecnica di redazione della disposizione era di incerta interpretazione e pure errata nel dato normativo, dal momento che richiama(va) la legge professionale abrogata (RD n. 1578/1933) dall'attuale legge forense n. 247/2012 (in vigore già dal 1 febbraio di quest'anno ...), ha evidenziato le maggiori incongruenze.
Altre considerazioni sono state poste dagli Avvocati dello Stato e del parastato, direttamente ai propri interlocutori istituzionali.
Le osservazioni formulate hanno determinato un primo risultato: il testo presentato alle Camere il 21 ottobre 2013 è, infatti, mutato nel senso che segue:
Art. 11, comma 6 - “A decorrere dal 1° gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016, i compensi professionali liquidati a seguito di sentenza favorevole per le pubbliche amministrazioni ai sensi del regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578, o di altre analoghe disposizioni legislative o contrattuali, in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti nella misura del 75%. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo di bilancio dello Stato. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del SSN”,
a cui è stato aggiunto un comma 7, riferito alla sola Avvocatura di Stato (“Nell’articolo 21, secondo comma, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modifiche, le parole “sette decimi” e “tre decimi” sono sostituite con le parole “cinque decimi”).
Art. 11, comma 6 - “A decorrere dal 1° gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016, i compensi professionali liquidati a seguito di sentenza favorevole per le pubbliche amministrazioni ai sensi del regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578, o di altre analoghe disposizioni legislative o contrattuali, in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti nella misura del 75%. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo di bilancio dello Stato. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del SSN”,
a cui è stato aggiunto un comma 7, riferito alla sola Avvocatura di Stato (“Nell’articolo 21, secondo comma, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modifiche, le parole “sette decimi” e “tre decimi” sono sostituite con le parole “cinque decimi”).
Rispetto alle considerazioni che erano state trasmesse dall'Unione (e dalle altre componenti della pubblica Avvocatura), si osserva come - tra la prima versione (15 ottobre) e la seconda (21 ottobre) - sono stati modificati alcuni aspetti sostanziali:
- la durata (tre anni, mentre in prima battuta era sine die),
- e la misura fissata nel 75% dell’importo liquidato (mentre in origine era detto “in misura massima del 50%).
Per il resto continuano a valere le considerazioni svolte e riguardanti alcuni aspetti contraddittori e/o illegittimi.
1) La norma fa riferimento ai “compensi professionali”, ovvero a quelle somme che spettano al professionista, indipendentemente dal prestare la propria opera da dipendente o da libero professionista. L'etimologia della parola professionista deriva da "professare" cioè essere fedele a statuti ordinistici o regolamentanti una attività per la quale si percepisce compenso.
Ciò fa sì che i compensi liquidati dal Giudice a carico della parte soccombente, e di norma corrisposti da essa alla parte vittoriosa (in favore però del difensore, sia esso libero professionista o professionista pubblico), sono compensi professionali e, dunque, imputati alla prestazione resa, come tali non incamerabili dal “cliente” - sia privato che pubblico – a nessun titolo legittimante.
Poiché tali somme non fuoriescono dal bilancio degli enti (dunque non incidono sugli equilibri di bilancio), ma entrano in conto partita di giro, una eventuale ritenzione del "cliente" di tali somme imputate dal Giudice ad “onorari” e corrisposte dalla parte soccombente, configurerebbe certamente un arricchimento indebito ai danni del professionista.
Ciò fa sì che i compensi liquidati dal Giudice a carico della parte soccombente, e di norma corrisposti da essa alla parte vittoriosa (in favore però del difensore, sia esso libero professionista o professionista pubblico), sono compensi professionali e, dunque, imputati alla prestazione resa, come tali non incamerabili dal “cliente” - sia privato che pubblico – a nessun titolo legittimante.
Poiché tali somme non fuoriescono dal bilancio degli enti (dunque non incidono sugli equilibri di bilancio), ma entrano in conto partita di giro, una eventuale ritenzione del "cliente" di tali somme imputate dal Giudice ad “onorari” e corrisposte dalla parte soccombente, configurerebbe certamente un arricchimento indebito ai danni del professionista.
A conferma di tale tesi vi è il fatto che la norma fa riferimento a “riduzioni di spesa” - locuzione che porterebbe ad individuare come oggetto di percentualizzazione solo le somme da corrispondere all’avvocato dipendente a seguito di compensazione delle spese di lite – atteso che l’incameramento del 25% delle spese liquidate dal giudice configurerebbero, al contrario, un “guadagno” (indebito) per l’ente pubblico e giammai un “risparmio di spesa”. Tale ragionamento costituisce un caposaldo oramai recepito dalla giurisprudenza costante, sia contabile che amministrativa.
2)Disparità di trattamento, che si verrebbe a determinare fra il settore privato (libera professione) ed il pubblico (avvocati dipendenti), poiché il cliente non può sottrarre il 25% (o qualsiasi altra percentuale) dell’onorario al proprio avvocato, come la disposizione in parola pretenderebbe di operare. Eccezion fatta per la pattuizione di tale minus, che nel caso di specie non ricorre.
Vale la pena rammentare che una simile disposizione (cfr. “contributo di solidarietà”), disposta da una legge di stabilità solo a scapito dei lavoratori del pubblico impiego e non degli omologhi del settore privato, è stata dichiarata incostituzionale, proprio per le sperequazioni determinate.
Non è questo l’unico esempio di discriminazioni in senso sperequativo. Basta infatti pensare ai c.d. “diritti di segreteria” dei segretari comunali, per i quali l’art. 25 del CCNL Autonomie locali per il personale dirigenziale (del 25/2/2006) prevede:
“Ai dirigenti incaricati delle funzioni di vice-segretario, secondo l’ordinamento vigente, sono corrisposti i compensi per diritti di segreteria (di cui all’art.21 del DPR 4 dicembre 1997, n.465) per gli adempimenti posti in essere nei periodi di assenza o di impedimento del segretario comunale e provinciale titolare della relativa funzione”;
mentre l’art. 11 del CCNL autonomie locali per il personale non dirigenziale (del 9/5/2006) prevede: “Al personale incaricato delle funzioni di vice-segretario, secondo l’ordinamento vigente, sono corrisposti i compensi per diritti di segreteria (di cui all’art. 21 del D.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465) per gli adempimenti posti in essere nei periodi di assenza o di impedimento del segretario comunale e provinciale titolare della relativa funzione. La percentuale di 1/3 dello stipendio in godimento del segretario, prevista dall’art.41, comma 4, della legge n.312 del 1980, costituisce l’importo massimo che può essere erogato dall’ente a titolo di diritti di rogito e quindi il massimo teorico onere finanziario per l’ente medesimo; tale limite è sempre unico a prescindere dal numero dei soggetti beneficiari. ...”.
Vale la pena rammentare che una simile disposizione (cfr. “contributo di solidarietà”), disposta da una legge di stabilità solo a scapito dei lavoratori del pubblico impiego e non degli omologhi del settore privato, è stata dichiarata incostituzionale, proprio per le sperequazioni determinate.
Non è questo l’unico esempio di discriminazioni in senso sperequativo. Basta infatti pensare ai c.d. “diritti di segreteria” dei segretari comunali, per i quali l’art. 25 del CCNL Autonomie locali per il personale dirigenziale (del 25/2/2006) prevede:
“Ai dirigenti incaricati delle funzioni di vice-segretario, secondo l’ordinamento vigente, sono corrisposti i compensi per diritti di segreteria (di cui all’art.21 del DPR 4 dicembre 1997, n.465) per gli adempimenti posti in essere nei periodi di assenza o di impedimento del segretario comunale e provinciale titolare della relativa funzione”;
mentre l’art. 11 del CCNL autonomie locali per il personale non dirigenziale (del 9/5/2006) prevede: “Al personale incaricato delle funzioni di vice-segretario, secondo l’ordinamento vigente, sono corrisposti i compensi per diritti di segreteria (di cui all’art. 21 del D.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465) per gli adempimenti posti in essere nei periodi di assenza o di impedimento del segretario comunale e provinciale titolare della relativa funzione. La percentuale di 1/3 dello stipendio in godimento del segretario, prevista dall’art.41, comma 4, della legge n.312 del 1980, costituisce l’importo massimo che può essere erogato dall’ente a titolo di diritti di rogito e quindi il massimo teorico onere finanziario per l’ente medesimo; tale limite è sempre unico a prescindere dal numero dei soggetti beneficiari. ...”.
Dunque, l’incostituzionalità di una siffatta disposizione è un dato oggettivo.
3) Una terza osservazione, poi, riguarda la legge sull’ordinamento forense n. 247/2012, che, come si é più volte ricordato, è legge speciale. Essa ha sancito all’art. 13, comma 2, che: “Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale”, confermato dal successivo sesto comma dello stesso articolo che stabilisce che: “I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale”.
Dunque ciò che emerge con evidenza è la natura negoziale e consensuale della determinazione del compenso professionale, che, nel caso specifico del comma 6 (e in precedenza del comma non numerato dell’art. 11, d.l. di stabilità), manca totalmente, intervenendo su materia pattizia in maniera unilaterale e discriminatoria.
Basta pensare: quid iuris nel caso di contenzioso affidato a legale esterno? La P.A. opererebbe la ritenuta? E sotto che voce inserirebbe questo “guadagno”?
Inoltre, la legge di stabilità è legge generale e, per il principio di specialità della legge, non può incidere su norme aventi natura speciale, qual è la Legge sull’ordinamento forense. Né può avere applicazione retroattiva, sicché i risparmi (rectius: “guadagni indebiti”), stimati andrebbero collocati in anni a venire, poiché per tutti gli onorari maturati sino al 31/12/2013 non potrebbe essere applicata.
Dunque ciò che emerge con evidenza è la natura negoziale e consensuale della determinazione del compenso professionale, che, nel caso specifico del comma 6 (e in precedenza del comma non numerato dell’art. 11, d.l. di stabilità), manca totalmente, intervenendo su materia pattizia in maniera unilaterale e discriminatoria.
Basta pensare: quid iuris nel caso di contenzioso affidato a legale esterno? La P.A. opererebbe la ritenuta? E sotto che voce inserirebbe questo “guadagno”?
Inoltre, la legge di stabilità è legge generale e, per il principio di specialità della legge, non può incidere su norme aventi natura speciale, qual è la Legge sull’ordinamento forense. Né può avere applicazione retroattiva, sicché i risparmi (rectius: “guadagni indebiti”), stimati andrebbero collocati in anni a venire, poiché per tutti gli onorari maturati sino al 31/12/2013 non potrebbe essere applicata.
Ne deriva che il calcolo del “risparmio di spesa” (rectius: “guadagno indebito”) lordo, stimato in 50 milioni di euro dall’anno 2014, relativamente al comparto Stato ed agli enti dotati di autonomia finanziaria che sono tenuti al versamento dei relativi importi, è artefatto.
Se, infatti, il dato economico in questione é ricavato da quanto erogato dalle P.A. (quali? ognuna ha regolamentazioni diverse...), considerato un determinato anno solare(poniamo il 2012), esso risulterebbe falsato da plurime incognite, poiché le spese liquidate dal Giudice non sono né quantificabili a priori né sull’an (quante cause, quante vinte, quante perse, quante assegnate a legali esterni per le P.A. diverse dallo Stato, ecc.), né sul quantum (potendo ben il Giudice, ad esempio, decidere che ricorrono i motivi per compensare fra le parti, oppure ricorrendo contenzioso di basso valore liquidare compensi irrisori, ecc.).
Fermo restando che tale dato non tiene conto dell’irretroattività che caratterizza la legge di stabilità, atteso che, ai fini della retroattività di una disposizione, occorre fare riferimento non solo alla cosiddetta auto qualificazione (lettera della legge, intitolazione della legge, lavori preparatori, ecc.), ma anche a indicatori obiettivi, come la struttura della fattispecie normativa, in cui emerge chiaramente il collegamento tra la disposizione interpretata e la disposizione interpretante, che si saldano per formare un precetto normativo unitario. Tali requisiti – natura di interpretazione autentica, e dunque portata retroattiva - sembrerebbero mancare nella norma in questione, data l’assenza di un riferimento puntuale ed inequivocabile alle disposizioni da interpretare. Inoltre, sarebbe difficilmente configurabile una norma di interpretazione autentica di norme contrattuali posta in essere non dalle medesime parti negoziali, ma da un soggetto completamente diverso, ossia il legislatore.
Se, infatti, il dato economico in questione é ricavato da quanto erogato dalle P.A. (quali? ognuna ha regolamentazioni diverse...), considerato un determinato anno solare(poniamo il 2012), esso risulterebbe falsato da plurime incognite, poiché le spese liquidate dal Giudice non sono né quantificabili a priori né sull’an (quante cause, quante vinte, quante perse, quante assegnate a legali esterni per le P.A. diverse dallo Stato, ecc.), né sul quantum (potendo ben il Giudice, ad esempio, decidere che ricorrono i motivi per compensare fra le parti, oppure ricorrendo contenzioso di basso valore liquidare compensi irrisori, ecc.).
Fermo restando che tale dato non tiene conto dell’irretroattività che caratterizza la legge di stabilità, atteso che, ai fini della retroattività di una disposizione, occorre fare riferimento non solo alla cosiddetta auto qualificazione (lettera della legge, intitolazione della legge, lavori preparatori, ecc.), ma anche a indicatori obiettivi, come la struttura della fattispecie normativa, in cui emerge chiaramente il collegamento tra la disposizione interpretata e la disposizione interpretante, che si saldano per formare un precetto normativo unitario. Tali requisiti – natura di interpretazione autentica, e dunque portata retroattiva - sembrerebbero mancare nella norma in questione, data l’assenza di un riferimento puntuale ed inequivocabile alle disposizioni da interpretare. Inoltre, sarebbe difficilmente configurabile una norma di interpretazione autentica di norme contrattuali posta in essere non dalle medesime parti negoziali, ma da un soggetto completamente diverso, ossia il legislatore.
4) Infine, una considerazione di ordine lessicale. Il compenso professionale non è un incentivo, come ha erroneamente qualificato la Ragioneria Generale dello Stato nel parere di cui al paragrafo precedente (malamente riportato – con il solito pregiudizio – dalla stampa), e, apparentemente, preso in considerazione dai redattori della legge di stabilità in esame. Al riguardo è interessante la definizione di “incentivo” che detta la Corte dei Conti (Sez. Reg. Lazio, 8/7/2011): “incentivazione” è ciò che viene corrisposto per aumentare la produttività del personale, mentre il compenso professionale è svincolato da misurazioni di produttività (impossibili da misurare), poiché legato alla prestazione d’opera e non di risultato.
Quindi, mentre il compenso incentivante è un trattamento remunerativo collegato ad attività ulteriori rispetto a quella ordinariamente svolta dal dipendente, l'onorario é il compenso per l’attività professionale svolta, caratteristica dell’avvocato, non influendo lo stato giuridico del professionista che la svolge, essendo la categoria unitaria.
Quindi, mentre il compenso incentivante è un trattamento remunerativo collegato ad attività ulteriori rispetto a quella ordinariamente svolta dal dipendente, l'onorario é il compenso per l’attività professionale svolta, caratteristica dell’avvocato, non influendo lo stato giuridico del professionista che la svolge, essendo la categoria unitaria.
Vedremo nei prossimi passaggi fra i rami del Parlamento quali saranno le ulteriori modifiche (correzioni o, meglio ancora, espunzione) dell’art. 11.....
VALE SEMPRE IL DETTO: "Cerca di vincere i tuoi nemici con la persuasione, non con la forza"
(Biante, VI sec. a.e.c)
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