venerdì 8 agosto 2014

(Non solo diritto) La crisi economica e la sindrome di Medusa. Il cannibalismo dei valori. E l'empatia


Storia, filosofia (e forse anche sociologia) insegnano che ogni periodo di grande crisi economica porta con sè mutamenti sociali, culturali, politici di enorme portata.La perdurante crisi finanziaria  che ha ridefinito e travolto molti sistemi economici in questi anni (almeno dal 2008 ad oggi), come insegna la storia, produce (ndr: ha prodotto) conseguenze drammatiche sulla società, quali la lotta di classe ossessiva, l'invidia sociale, la slealtà, ecc., aggravando di fatto "malattie" di cui, probabilmente, molti già soffrivano in modo latente.Ergo: nella difficoltà ciascuno fa emergere la propria vera natura, bella o brutta che sia, emerge ciò che uno è.Il punto focale sta nella complessa azione e relazione (e interazione) fra società (sempre più disgregata fra chi sta bene, meno bene, male) e sfera politica (sempre più distante, impreparata, estemporaneo-agente e non lungimirante), su cui dovrebbe gravare il compito di compiere scelte appropriate per il benessere collettivo e costruire il futuro delle giovani generazioni, senza "buttare al macero" quelle meno giovani.Si assiste, invece, ad un agire estemporaneo, dettato più da ragioni utilitaristiche (di visibilità personale), che dal buongoverno politico. Infatti, ciò a cui tutti assistiamo (impotenti) è il contrario di ciò che la storia insegna essere necessario per uscire dalle crisi: la "massa critica". Non si supera la crisi con lo "spot alla pancia-di-chi-sta-peggio", con il "tweet-gonzales", con lo "#staisereno" (che-ti-frego-io).La crisi dovrebbe al contrario essere l'occasione da sfruttare per volgere in positivo "la sfortuna", per lanciare una sfida complessiva (globale?) che "ricontratti" le regole sociali ed economiche (e politiche pure), e non, al contrario, l'occasione per esaltare gli individualismi, la conflittualità fra classi, fra lavoratori, fra categorie, fra tutti-contro-tutti.Così non se ne esce.Non se ne esce se si pongono in essere provvedimenti penalizzanti per il settore che si dice di voler rilanciare (es. per rilanciare l'edilizia introduco nuove tasse sulla casa e inasprisco quelle esistenti: ossimoro o eterogenesi?); non se ne esce se varo provvedimenti di riforma che modificano le condizioni di chi lavora senza rispetto delle regole (es. per rilanciare i consumi taglio gli stipendi di chi prima poteva spendere qualcosina, così riduco la forbice tra chi guadagna di più e di meno: populismo o masochismo?); non se ne esce se "regolo" l'industria, il commercio, le attività produttive, aumentando l'IVA o le tasse (es. aumento le tasse sulle imbarcazioni ...per rilanciare il settore nautico: falsità o deficienza?).Di questi esempi si potrebbero riempire pagine, per giungere alla sola conclusione che l'unico risultato raggiunto è ...l'eterogenesi dei fini.Non certo il benessere della collettività. Al massimo il benessere di alcuni, pochissimi.Perchè la verità è un'altra. Ed è purtroppo sotto gli occhi di tutti.La verità è che così si alimenta solo l'invidia sociale: chi sta peggio odia chi sta meglio. A prescindere.Impatto sulla crisi: ZERO!Parolina ben nota ai nostri odierni governanti.Ma con lo ZERO non si risolve nulla.ZERO è ZERO, cioè niente, nulla, assenza di valore.Ecco. Appunto. Assenza di valore.E lì si torna. All'assenza di valori che tale modus operandi determina, alla disgregazione di equilibri interni ad una società.Il tutto aggravato dalla repentinità, dall'antagonismo più spinto.Possibile che non si comprenda che la "crisi" deve essere considerata una opportunità per fare "massa critica"? per fare "squadra" compattandosi?Cui prodest questa situazione di disorganizzazione diffusa e generalizzata, con tanti vinti e pochissimi vincitori? (ma ce ne sono?)Queste riflessioni non nascono a caso, ma da fatti concreti.Preliminarmente è bene precisare che esistono (ancora) persone che per senso d'altruismo, per generosità connaturata, per educazione o esperienze di vita, si spendono con passione per gli altri.E' l'essenza del "volontariato", ovvero di quelle attività di aiuto e di sostegno poste in essere da individui in modo gratuito, per altruismo, solidarietà, giustizia sociale, ecc. Ciò detto, fare il bene (anche) di altri, o cercare di curarne gli interessi (che possono coincidere con i propri, ma non necessariamente), senza averne ritorni "tangibili", denota maturità, senso del sacrificio, e caratterizza talune personalità per le doti "carismatiche" che le portano ad ottenere ciò che altri, nelle medesime condizioni, non otterrebbero. Il "controvalore" (se così si può definire) di ciò è costituito dalla soddisfazione di aver prodotto risultati.Quasi una sfida con se stessi.Tuttavia, la maturità de qua deve caratterizzare anche coloro che compongono l'aggregazione verso cui gli sforzi avvengono, poiché se ogni "ingranaggio" resta al suo posto, "il motore gira bene" (o gira meglio).Fuor di metafora, occorre maturità per non scivolare nell'invidia sociale, per non assecondare le sirene del "malpancismo", della "lotta di classe" a scoppio ritardato...; occorre maturità per gettare il cuore oltre l'ostacolo e comprendere che l'unità, la compattezza, la lealtà, sono valori e, alla fine, sono i valori che, in una società "senza valori" fanno la differenza!D'altra parte, sopravvive alle crisi chi ha "un forte rispetto per se stesso, chi ha dei valori, chi punta all'eccellenza e chi è protagonista del proprio futuro, chi possiede la dote dell'intensità: saper cioè guardare lontano, sacrificarsi ora perchè il domani sia redditizio. E' necessario farsi un'idea propria del mondo. Capire chi sono gli amici e chi i nemici: una dote che si chiama empatia" (Jacques Attali).


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