" NOTA SU VIOLAZIONI COSTITUZIONALI - ART. 11, C. 6, DDL STABILITA’ 2014
Testo: “A decorrere dal 1° gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016, i compensi professionali liquidati a seguito di sentenza favorevole per le pubbliche amministrazioni ai sensi del regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578, o di altre analoghe disposizioni legislative o contrattuali, in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti nella misura del 75%. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo di bilancio dello Stato. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del SSN”,
ASPETTI CONTRADDITTORI E/O ILLEGITTIMI.
Aspetti di incostituzionalità
- art. 23 Cost.: la decurtazione del 25% in questione è adottata in violazione del principio di uguaglianza in relazione alla capacità contributiva, perché imposto nei confronti dei soli dipendenti avvocati, e di nessun altro dipendente pubblico o avvocato libero professionista;
- art. 2, 3 e 53 Cost.: la misura in questione è in tutta evidenza un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini. L’intervento riguarda, infatti, i soli dipendenti pubblici che esercitano la professione di “avvocato”, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione e limitata platea dei soggetti passivi, divenuta peraltro ancora più evidente, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale di un analogo prelievo di cui al comma 2 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 (sentenza n. 223 del 2012). La Corte in quell’occasione ha ritenuto le disposizioni ''in evidente contrasto'' con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, dove viene sancito come tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge e tutti siano tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della loro capacita' contributiva. Nella sentenza si legge inoltre, come nel caso di specie, che ''l'introduzione di una imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione soltanto ai redditi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione viola, infatti, il principio della parita' di prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente rilevante''. Nel caso di specie, il principio è maggiormente violato atteso che la norma è diretta non a tutti i dipendenti pubblici, ma solo alla ristretta parte degli avvocati.
La norma si riferisce ai “compensi professionali”, ovvero a quelle somme che spettano al professionista, indipendentemente dal prestare la propria opera da dipendente o da libero professionista.
L'etimologia della parola professionista deriva da "professare" cioè essere fedele a statuti ordinistici o regolamentanti una attività per la quale si percepisce compenso.
Ciò fa sì che i compensi liquidati dal Giudice a carico della parte soccombente, e di norma corrisposti da essa alla parte vittoriosa (in favore del difensore, sia esso libero professionista o professionista pubblico), sono compensi professionali e, dunque, imputati alla prestazione resa, come tali non incamerabili dal “cliente” - sia privato che pubblico – a nessun titolo legittimante.
Poiché tali somme non fuoriescono dal bilancio degli enti (dunque non incidono sugli equilibri di bilancio), ma entrano in conto partita di giro, una eventuale ritenzione del "cliente" di tali somme imputate dal Giudice ad “onorari” e corrisposte dalla parte soccombente all’Ente, configurerebbe certamente un arricchimento indebito ai danni del professionista.
A conferma di tale tesi vi è il fatto che la norma fa riferimento a “riduzioni di spesa” - locuzione che porterebbe ad individuare come oggetto di percentualizzazione solo le somme da corrispondere all’avvocato dipendente a seguito di compensazione delle spese di lite – atteso che l’incameramento del 25% delle spese liquidate dal giudice configurerebbero, al contrario, un “guadagno” (indebito) per l’ente pubblico e giammai un “risparmio di spesa”. Tale ragionamento costituisce un caposaldo oramai recepito dalla giurisprudenza costante, sia contabile che amministrativa.
Disparità di trattamento fra lavoratori.
- Disparità fra il settore privato (libera professione) ed il pubblico (avvocati dipendenti): il cliente-ente pubblico non può sottrarre il 25% (o qualsiasi altra percentuale) dell’onorario al proprio avvocato libero professionista, come la disposizione in parola pretenderebbe di operare. Eccezion fatta per la pattuizione di tale minus, che nel caso di specie non ricorre.
Disparità con altre categorie di dipendenti pubblici. Basta infatti pensare ai c.d. “diritti di segreteria” dei segretari comunali, per i quali l’art. 25 del CCNL Autonomie locali per il personale dirigenziale (del 25/2/2006) prevede:
“Ai dirigenti incaricati delle funzioni di vice-segretario, secondo l’ordinamento vigente, sono corrisposti i compensi per diritti di segreteria (di cui all’art.21 del DPR 4 dicembre 1997, n.465) per gli adempimenti posti in essere nei periodi di assenza o di impedimento del segretario comunale e provinciale titolare della relativa funzione”;
mentre l’art. 11 del CCNL autonomie locali per il personale non dirigenziale (del 9/5/2006) prevede: “Al personale incaricato delle funzioni di vice-segretario, secondo l’ordinamento vigente, sono corrisposti i compensi per diritti di segreteria (di cui all’art. 21 del D.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465) per gli adempimenti posti in essere nei periodi di assenza o di impedimento del segretario comunale e provinciale titolare della relativa funzione. La percentuale di 1/3 dello stipendio in godimento del segretario, prevista dall’art.41, comma 4, della legge n.312 del 1980, costituisce l’importo massimo che può essere erogato dall’ente a titolo di diritti di rogito e quindi il massimo teorico onere finanziario per l’ente medesimo; tale limite è sempre unico a prescindere dal numero dei soggetti beneficiari. ...”.
Disparità con i tecnici relativamente agli incentivi “Legge Merloni”;
Disparità con i dirigenti (ad esempio degli enti territoriali) in relazione alle indennità di risultato; alle incentivazioni di posizione; ecc.
Dunque, la plurima incostituzionalità di una siffatta disposizione è un dato oggettivo.
Una terza osservazione, poi, riguarda la legge sull’ordinamento forense n. 247/2012, che è legge speciale.
Essa ha sancito all’art. 13, comma 2, che: “Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale”, confermato dal successivo sesto comma dello stesso articolo che stabilisce che: “I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale”.
Dunque ciò che emerge con evidenza è la natura negoziale e consensuale della determinazione del compenso professionale, che, nel caso specifico del comma 6 (e in precedenza del comma non numerato dell’art. 11, d.l. di stabilità), manca totalmente, intervenendo su materia pattizia in maniera unilaterale e discriminatoria.
Basta pensare: quid iuris nel caso di contenzioso affidato a legale esterno? La P.A. opererebbe la ritenuta? E sotto che voce inserirebbe questo “guadagno”?
Inoltre, la legge di stabilità è legge generale e, per il principio di specialità della legge, non può incidere su norme aventi natura speciale, qual è la Legge sull’ordinamento forense. Né può avere applicazione retroattiva, sicché i risparmi (rectius: “guadagni indebiti”), stimati andrebbero collocati in anni a venire, poiché per tutti gli onorari maturati sino al 31/12/2013 non potrebbe essere applicata.
Assenza del requisito di “veridicità” per le entrate finanziarie.
Il calcolo del “risparmio di spesa” (rectius: “guadagno indebito”) lordo, stimato in 10,5 milioni di euro dall’anno 2014, relativamente al comparto Stato ed agli enti dotati di autonomia finanziaria che sono tenuti al versamento dei relativi importi, è artefatto.
Partendo dal dato oggettivo che ogni P.A. ha regolamentazioni diverse ed eterogenee in materia di corresponsione onorari ai propri avvocati dipendenti, considerato un determinato anno solare (poniamo il 2012), il dato risulterebbe falsato da plurime incognite, poiché le spese liquidate dal Giudice non sono né quantificabili a priori né sull’an (quante cause, quante vinte, quante perse, quante assegnate a legali esterni per le P.A. diverse dallo Stato, ecc.), né sul quantum (potendo ben il Giudice, ad esempio, decidere che ricorrono i motivi per compensare fra le parti, oppure ricorrendo contenzioso di basso valore liquidare compensi irrisori, ecc.).
Fermo restando che tale dato non tiene conto dell’irretroattività che caratterizza la legge di stabilità, atteso che, ai fini della retroattività di una disposizione, occorre fare riferimento non solo alla cosiddetta auto qualificazione (lettera della legge, intitolazione della legge, lavori preparatori, ecc.), ma anche a indicatori obiettivi, come la struttura della fattispecie normativa, in cui emerge chiaramente il collegamento tra la disposizione interpretata e la disposizione interpretante, che si saldano per formare un precetto normativo unitario. Tali requisiti – natura di interpretazione autentica, e dunque portata retroattiva - sembrerebbero mancare nella norma in questione, data l’assenza di un riferimento puntuale ed inequivocabile alle disposizioni da interpretare. Inoltre, sarebbe difficilmente configurabile una norma di interpretazione autentica di norme contrattuali posta in essere non dalle medesime parti negoziali, ma da un soggetto completamente diverso, ossia il legislatore."