Il tema che sarà oggetto del Convegno del 5 luglio prossimo a Roma, in una sede emblematica - quella del TAR Lazio - ove proprio circa due anni fa era stata emessa la sentenza più nefasta (e per fortuna isolatissima) per la nostra componente dell'Avvocatura, intitolato 'Prospettive di riforma del reato di corruzione- Profili di responsabilita’ degli amministratori e dei dipendenti pubblici', offre lo spunto per alcune considerazioni sul RUOLO dell’Avvocato dipendente, ovvero su quelli che sono gli ELEMENTI DI CERNIERA tra il tema che sarà oggetto del Convegno di Studi sopra detto e l’Avvocatura pubblica.
Una digressione: nel fare colazione al bar, proprio questa mattina, fra un commento sugli acquisti del calcio mercato di Juve e Milan, e un caffè, un gruppetto di persone discuteva (in dialetto...) sul fatto che i dipendenti pubblici in Italia sono troppi, che in momenti di crisi i ranghi andrebbero "sfoltiti" in modo consistente, che sono tutti troppo vecchi (...sic..!), e che, come nel privato, bisognerebbe mandarli in cassa integrazione!
...Ma come? La cassa integrazione la paga lo Stato (come per il settore privato), quindi di che stanno parlando? Se paghi con denaro pubblico un dipendente ... pubblico per stare a casa, tanto vale che lavori. O sbaglio?
In ogni caso mi sono incuriosita ed ho notato varie cose:
1) In Italia dal 2001 il numero di dipendenti pubblici è calato del 4,7 per cento, mentre nel resto d'Europa gli addetti nel pubblico impiego sono cresciuti, soprattutto in Irlanda e in Spagna dove si è registrato un aumento rispettivamente del 36,1 per cento e del 29,6 per cento; altri paesi mostrano incrementi vicini al 10 per cento (Regno Unito 9,5 per cento e Belgio 12,8 per cento); infine, un altro gruppo di paesi mostra un trend crescente ma contenuto (in Francia del 5,1 per cento, in Germania del 2,5 per cento, nei Paesi Bassi del 3,1 per cento). L'Italia, risulta l'unico paese in cui, nei dieci anni considerati, il numero dei dipendenti pubblici si sia ridotto (Rapporto Eurispes e Uil-P.A., intitolato 'Dalla spending review al ritorno del Principe'). Pertanto, il rapporto di impieati nella Pubblica amministrazione ogni mille abitanti risulta essere di 58, mentre in Germania 54 e in Svezia 135...! Quindi, mentre dal 2001 il numero di dipendenti pubblici è calato in Italia, "nel resto d'Europa gli addetti nel pubblico impiego sono cresciuti, soprattutto in Irlanda e in Spagna dove si è registrato un aumento rispettivamente del 36,1% e del 29,6%. Altri paesi mostrano incrementi vicini al 10% (Regno Unito 9,5% e Belgio 12,8%). Infine, un altro gruppo di paesi mostra un trend crescente ma contenuto (in Francia del 5,1%, in Germania del 2,5%, nei Paesi Bassi del 3,1%). Fonte: Il Sole 24 Ore.
2) Quando si parla di dipendenti pubblici, NESSUNO (sottolineo nessuno) MAI rammenta che costoro SUPERANO CONCORSI PUBBLICI per diventare tali (se ci sono concorsi..), a differenza del dipendente privato che trova impiego (se lo trova..) per altri canali (amicizie, parentela, annunci, collocamento, ecc.). Nessuno mai rammenta che il dipendente pubblico è tenuto a lavorare nell'"esclusivo interesse della Nazione", mentre il privato lavoratore nel solo interesse della propria azienda o del proprio datore di lavoro.
3) Sono troppo VECCHI... E' vero. Aggiungo che sono (siamo) destinati a diventarlo sempre di più, dal momento che non ci sono più concorsi per assunzioni (cfr. blocco delle assunzioni), l'età pensionabile slitta sempre più in avanti (..per ora siamo fermi sui 65, ma ... cresceremo..!)
4) Fra i dipendenti pubblici (ritenuti TROPPI dalla pubblica opinione), ci sono PROFESSIONISTI dipendenti (ritenuti POCHI dai Saggi del Parlamento nel Rapporto sulla Corruzione in Italia) - fra cui gli AVVOCATI - che lavorano per l'interesse pubblico con dedizione, passione e impegno.
Parliamo di circa 6.000 avvocati dipendenti, a metà strada fra i liberi professionisti e i pubblici dipendenti, in prevalenza poco giovani (età comprese fra i 40 e i 60 anni), che hanno superato al pari dei colleghi libero professionisti l'esame di Stato per l'abilitazione alla professione e, IN PIU' rispetto ai colleghi liberi, hanno superato concorsi pubblici selettivi e duri per poter svolgere la loro professione per una pubblica amministrazione.
Si tratta di professionisti seri ed affidabili, competenti e, se proprio vogliamo, poco pagati rispetto alla mole di lavoro e, soprattutto, alla qualità di esso e dei risultati prodotti a favore dei cittadini (poiché alla fine lavorano per l'interesse pubblico: se le cause sono vinte, gli enti non sopportano condanne e quindi i cittadini risparmiano sulle tasse...Semplicistico, ma reale!).
Sono professionisti, insomma, e ... non proprio da buttare!
Entro subito nel tema di ciò che è il Convegno con una considerazione: in materia di corruzione nella P.A., con una considerazione: in materia di corruzione nella P.A., basta essere informati ed attenti alle cronache per sapere che da circa vent’anni ci troviamo nel presente
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Un parallelo: risulta dall’Archivio Storico del giorno 31/10/1996 su CorSera, che “gli episodi di corruzione sono molto più numerosi di quelli scoperti…Vi è un sistema nel quale la necessità di pagare tangenti per sveltire pratiche o concludere contratti, la dazione di denaro ai funzionari, il finanziamento illecito dei partiti, i fondi neri alle imprese e i redditi illeciti degli amministratori sono spesso assurti a regole generali: è possibile dunque ritenere che i casi scoperti non siano eccezioni, ma parte di una patologia ben più ampia”.
Invece la stampa recente titola: “Consulenze la grande abbuffata”, Fatto Quotidiano, 29/3/2012; “Patto anticorrotti nei Comuni”, Repubblica 23/3/2012; “Corruzione. Dalle mazzette alle cozze pelose”, Repubblica, 22/3/2012; ”Enti locali tra risparmi e rischi di corruzione…”, forumpa 2011.
Allo stesso modo è noto che già 16 anni or sono, con un rapporto di 73 pagine pubblicato dalla Camera dei Deputati, XIII legislatura, i professori Cassese, Pizzorno ed Arcidiacono certificarono che “se l’illegalità è tanto diffusa e la trasparenza così evanescente, parlare di buon governo, corretta amministrazione e certezza del diritto è pura finzione” (Capi I e V del Rapp del 1996); “Le forme di corruzione sono tanto diffuse nei rapporti tra imprese e sfera pubblica che hanno gonfiato la spesa, leso il buon funzionamento del mercato, ostacolato la selezione dei fornitori e dei prodotti migliori. L’entità di questa tassazione impropria, che da ultimo ricade sui cittadini, è di una gravità che sgomenta, danneggia l’economia del Paese perché viola le regole del mercato e limita la concorrenza economica, dilatando la spesa pubblica e il debito pubblico. Per i cittadini diventa una vera e propria tassa aggiuntiva”. Ancora: “i costi diretti e indiretti sono gravi e preoccupanti. I costi diretti sono migliaia di miliardi; i costi indiretti sono peggiori. Essi riguardano la crisi dei partiti, le disfunzioni delle istituzioni, l’indebolimento del patto sociale, l’evasione fiscale (falsificazione di bilanci, costituzione di fondi neri, ecc.) e, soprattutto, l’inefficienza della pubblica amministrazione. Proprio nella P.A. le conseguenze della corruzione sono più gravi perché: - incrina la fiducia dei cittadini; - peggiora i livelli di professionalità perché non conta il merito; - favorisce lo smantellamento degli apparati tecnici per far posto alle consulenze esterne appesantendo i bilanci delle amministrazioni” (è il caso recente dello smantellamento dell’Avvocatura di un Comune: centinaia di costituzioni di nuovi procuratori su cause in corso e, di conseguenza, spese elevatissime); -“induce altra corruzione”.
Concludevano i tre saggi nel 1996, alla pagina 51, § 4.12, che “una delle RAGIONI PRINCIPALI della corruzione è da rinvenirsi nella debolezza dell’Amministrazione, DATA DALL’ASSENZA O DALL’INSUFFICIENZA DEI RUOLI PROFESSIONALI. Il rimedio ipotizzabile è che L’ENTE LOCALE SI DOTI DI PROFESSIONISTI DIPENDENTI, ORGANIZZATI IN CORPI SEPARATI, con uno stato giuridico ed un trattamento economico che consentano di attrarre personale di preparazione adeguata. Non ci si deve illudere di poter acquisire le professionalità necessarie, se non si è poi disposti a pagare il loro prezzo, né che la corruzione abbia termine, finchè le Amministrazioni non abbiano superato questa loro debolezza».
Da recentissimi studi sulle consulenze esterne, ad esempio, è emerso che solo nei contenziosi legali -spesso affidati sempre agli stessi studi- i Comuni spendono milioni di euro, quando i costi per la difesa e consulenza legale attraverso le Avvocature in house sono estremamente contenuti.
Come si vede il tema è attualissimo. Ed è stato certificato da poco dalla Corte dei Conti (“la corruzione, il malaffare e l’illegalità sono ancora molto forti, molto più di come appare. Sono fenomeni notevolmente presenti nel Paese, le cui dimensioni sono di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce”).
Oggi, con la legge n. 190/2012 recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione" e il decreto legislativo n. 33/2013 recante "Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni" sono previste importanti novità per gli enti locali.
In particolare, nel d.lgs 33/13 viene delineata una definizione di trasparenza che si salda all’obiettivo principale che risulta, come più volte ribadito all’interno dello stesso decreto, essere quello dell’accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni.
L’obiettivo della trasparenza risulta altresì funzionale a quello di prevenzione e lotta alla corruzione di cui alla legge 190/2012.
Mi chiedo e vi chiedo provocatoriamente: MA SARA’ SUFFICIENTE STABILIRE PER LEGGE COMPORTAMENTI CHE LA COSCIENZA CIVICA E L’ONESTA’ PERSONALE DOVREBBERO ESSERE SUFFICIENTI A SUGGERIRE?
In un film di Gassman (“In nome del popolo italiano”) l’attore diceva che “la corruzione è l’unico modo per sveltire gli iter e quindi incentivare le iniziative”. Ma qui non stiamo in un film. E l’ironia diviene amara per chi opera con serietà e dedizione all’interno della pubblica amministrazione a presidio della legalità e della giustizia come l’Avvocatura pubblica.
Ecco il punto. QUELLO DEGLI AVVOCATI DIPENDENTI, il corpo di professionisti di cui parlavano i “tre saggi”, È UN COSTANTE IMPEGNO PER LA RICERCA DELLA “QUALITÀ AMMINISTRATIVA” DEI PROVVEDIMENTI POSTI IN ESSERE DAGLI ENTI, IL TUTTO FINALIZZATO AL PERSEGUIMENTO DEL PUBBLICO INTERESSE, E NON IL SEMPLICE INTERESSE DEL PROPRIO CLIENTE.
E’ un percorso di virtuosità ed economicità il ruolo che l’Avvocatura degli enti locali quotidianamente offre agli interlocutori: IL RUOLO DI RIFERIMENTO TECNICO AFFIDABILE, DI SENTINELLA DELLA LEGALITÀ, contribuendo umilmente, ma con professionalità e dedizione, all’ACCRESCIMENTO del funzionamento della giustizia e, mediante l’importante quanto silenziosa opera di consulenza, alla DIMINUZIONE dei fenomeni di corruzione.
Una punta d’orgoglio: DESIDERO EVIDENZIARE CON COLORE ROSSO CHE NESSUN AVVOCATO PUBBLICO, MAI, È STATO COINVOLTO IN DELITTI CONTROLA P.A. (quali la corruzione), COME ACCADUTO TROPPO SPESSO PER ALTRI PROFESSIONISTI DIPENDENTI E AMMINISTRATORI (tecnici in particolare: geometri, ingegneri, architetti, medici, psicologi, ecc.).
Ecco cos’è l’Avvocatura pubblica: il luogo dove il RUOLO si fonde con la PERSONA. Non c’è posto fra noi per il dipendente “8-14”; c’è invece un’Avvocatura proiettata nel futuro, verso la modernizzazione della P.A., ma nel rispetto dei “valori” storici della professione, che si riappropria del suo passato, ovvero delle motivazioni per le quali è “nata”, identiche a quelle dell’Avvocatura di Stato: il bisogno di assicurare alla P.A. il consiglio di “uomini” di legge, avvertito sin da epoca remota.
Rammento che le prime avvocature comunali furono costituite proprio a Bologna (dal 1848 si ha la prima documentazione ufficiale in epoca preunitaria, ma documenti storici individuano Azzone da Bologna come giureconsulto del municipio bolognese già dal 1116), poi Roma nel 1894, e Napoli nel 1889.
“Uomini” (e donne) di legge che prestano la loro opera alle dipendenze di enti pubblici con obbligo assoluto di esclusiva. Non esiste per noi l’intra moenia ed extra moenia. Non esiste la presenza contemporanea in ufficio…e in studio privato.
GIA’ QUESTI ELEMENTI PRESERVANO L’UMANO AGIRE DA TENTAZIONI....
E proprio perché la professione forense è la stessa, qualunque sia l’ente per cui si opera, L’OBIETTIVO NOSTRO È SOSTENERE L’AUTONOMIA E L’INDIPENDENZA DI GIUDIZIO, QUALE CONDIZIONE NECESSARIA PER L’ISCRIZIONE ALL’ELENCO SPECIALE (come sancito da Cass. SU e CNF), CON UNO STATUS UNIFORME, COME ACCADE PER L’AVVOCATURA DELLO STATO, CHE SVOLGE LA NOSTRA STESSA FUNZIONE.
Questo e’ il nostro modo di declinare la “dignità”. come sostenuto dalla commissione dei tre professori nel 1996.
Purtroppo la realtà è diversa.
L’avvocatura pubblica, ad eccezione di quella dello Stato, non possiede uno status giuridico comune all’interno di enti uguali e, a maggior ragione, fra enti diversi; anzi non possiede proprio uno status; né gode di trattamenti economici uniformi, né uniformi collocazioni organizzative nelle macrostrutture degli enti, e neppure contrattuali. SIAMO TUTTI GIURISTI E SAPPIAMO CHE L’ANOMIA GENERA ARBITRIO. E se la vita professionale dell’avvocato rimane in balia della voluntas del singolo amministratore, allora non può parlarsi di giudizio libero, con buona pace per qualsiasi norma in materia di corruzione. Fermo restando l’aggravio qualitativo-quantitativo dovuto ai giudizi instaurati dagli avvocati per riconoscere i loro diritti e da questi vinti a fronte di difese temerarie degli enti.
Questo è stato rappresentato al Ministro della Pubblica Amministrazione e Semplificazione, compentente per le nostre questioni e pure per l’attuazione della trasparenza e anticorruzione.
In particolare oggi, con l’art. 23 della L. forense, siamo un’opera incompiuta. Incompiuta perché molte legislature hanno visto proporre disegni di legge dimenticati, come sanno bene i parlamentari qui presenti (p.di l. Vietti, Cola, Tucci); incompiuta perché tutte le leggi sul pubblico impiego pur prevedendo sezioni separate di contrattazione, sono puntualmente disattese, incompiuta perché anche le più recenti norme (art. 23, appunto, poi art. 54 dlgs 150/2010, modificativo dell’art. 40 dlgs 165/01) prevedono aree di contrattazione separata per particolari professioni, ma rimangono disapplicate.
Consoliamoci pensando che, seppur incompiuta, siamo comunque un’opera. E le opere hanno valore. Lo sanno bene i nostri Enti, non foss’altro per gli effetti benefici sui bilanci che produciamo, certificati dalle Sez Riun Corte Conti, parere n.51 del 4 ottobre scorso.
OSCAR WILDE DISSE CHE “IL SENSO DEL DOVERE È UN’ORRIBILE MALATTIA”…PENSO SIA VERO! E NOI NE SIAMO INSANABILMENTE AFFETTI.
E, seppur controvento, IL NOSTRO SENSO DEL DOVERE CI SPINGE A NON ARRENDERCI, A LOTTARE PER QUEL “RUOLO SEPARATO” CHE RAPPRESENTA IL SOLO BALUARDO DI GARANZIA DELL’AUTONOMIA ED INDIPENDENZA DAL CONDIZIONAMENTO POLITICO DELL’AVVOCATURA, poiché non possiamo consentire che il nostro “cliente”, ancorché nostro “datore di lavoro”, sia parte di un Paese “a civiltà limitata” qual è un Paese che si regge sull’illecito.
IL TUTTO NELLA CONSAPEVOLEZZA CHE UN VERO PIANO EFFICACE CONTRO LA CORRUZIONE DELLA P.A. NON PUÒ PRESCINDERE DALLA CONOSCENZA PROFONDA DELLE SPECIFICHE NORME -giuridiche e di comportamento- CHE L’AVVOCATO DIPENDENTE MATURA, attesa la LAW SATURATED SOCIETY (Rodotà), in cui si opera. I saggi, non la sottoscritta, l’hanno certificato.
E’ dunque tutto in salita. Ma le vie tortuose e difficili sono le più interessanti, almeno consentono di mantenere alta l’attenzione!
E allora si spera che il legislatore, oltre ad averci concesso uno spazio di attenzione, “ASCOLTI ANCHE LE VOCI CHE SEMBRANO INUTILI”, quale quella degli avvocati pubblici, per trasformare una “brutta stagione” in una in cui “speranza e pulizia” tornino a rappresentare il nostro Paese. Proprio le crisi peggiori hanno sempre portato buoni frutti.
Concludo con un pensiero ancora attualissimo di Calamandrei, pur se scritto nel 1940: “nel principio della legalità c’è il riconoscimento della uguale dignità morale di tutti gli uomini, nell’osservanza individuale della legge c’è la garanzia della pace e della libertà di ognuno. Attraverso l’astrattezza della legge, della legge fatta non per un solo caso ma per tutti i casi simili, è dato a tutti noi di sentire nella sorte altrui la nostra stessa sorte”.
Gli avvocati pubblici per avere uguale dignità morale attendono regole che oggi esistono per un solo “caso”. Ci vuole poco a “farla per tutti i casi simili”.
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